mercoledì 25 gennaio 2012

Zia Dani è la più simpatica di tutti i fratelli e le sorelle di papà, anche se pure lei stamattina sembra indaffarata.

La scorsa settimana in camera sua c’era un poster appeso al contrario.

"Zia, perché l’hai appeso al contrario?" le avevo chiesto.

"Altrimenti non lo notavi" mi aveva risposto. Era vero: era un poster come tanti, una ragazza ed un ragazzo in riva al mare in un tramonto rosso fuoco.

Siamo a casa di nonno e è sabato mattina: Ho sette anni e mezzo; mio fratello, Dario, ne ha due più di me e ha imparato da qualche giorno a fare il fischio alla pecorara. Ogni tanto prova a farlo e zia Dani stranamente lo azzittisce. Mia cugina Paola sta seduta al tavolo con me e mio fratello; Guido, suo fratello, ha quasi sedici anni sta in piedi vicino alla finestra e ci guarda dall’alto in basso.

Per terra, con delle costruzioni Lego, la mia sorellina di un anno e mezzo muove con fatica le manine, insieme con gli altri cuginetti più piccoli.

Zia Dani si siede con noi.

"Facciamo un gioco". Ha dei fogli bianchi e delle penne.

Prende tre fogli e traccia una riga e mezzo cerchio in tutti e tre i fogli.

"Questo è lo schizzo" dice "adesso ognuno di voi lo completa e chi fa il disegno più bello vince".

Il gioco mi piace e io mi impegno. Disegno, con la punta della lingua che esce di lato alle labbra. So che non potrò vincere perché Dario disegna molto meglio di me.

Paola nasconde con il braccio il suo foglio.

Zia Dani guarda ora uno ora l’altro. I suoi occhi sono di un celeste quasi trasparente: sono uguali a quelli di papà e degli altri due fratelli, zio Nino e zia Gigliola; noi abbiamo tutti e tre preso gli occhi scuri di mamma; oggi però quel celeste ha qualche ombra.

Ogni tanto mette le mani davanti agli occhi, si tira la radice del naso.

"Finito!" mio fratello fa pure mezzo fischio.

"Ok, allora, tempo scaduto" fa zia Dani.

Dario ha fatto diventare lo schizzo un’enorme onda che sta per sommergere una barca a vela, perfetta in tutti i particolari. Paola ha fatto una macchina; io ho fatto diventare il mezzo cerchio il cuscino e ho disegnato un letto.

"Vinceee ... Dario" fa zia Dani.

"Sì" urla Dario. Zia Gigliola arrivando fa segno a Dario di non urlare; si ferma alle spalle di zia Dani, le mette una mano sulla spalla e zia Dani gliela prende. Si fanno un sorriso e un sospiro, ma poi gli occhi di zia Gigliola si fanno rossi.

Zia Dani prende altri tre fogli fa un altro schizzo. Un angolo retto e una mano.

Stavolta voglio vincere, anche se mia sorella piange e mi disturba, come quando voglio fare i compiti. Mamma arriva e si capisce che deve cambiarla.

Per il secondo disegno mi impegno al massimo: disegno un bambino seduto a tavola che disegna sul foglio.

"Vinceee ... Andrea" annuncia zia Dani. Esulto sbattendo i pugni sul petto, come ho visto fare a King Kong.

Facciamo altri tre o quattro disegni e zia Dani ci fa vincere una volta tutti.

Poi facciamo il gioco delle parole, quello dove c’è scritta solo l’iniziale e l’ultima lettera e ci sono i più per le consonanti e i meno per le vocali.

Prima di azzeccarle spariamo delle parole inventate, soprattutto io.

Ridiamo come matti: Paola si copre la bocca mentre ride, io e Dario siamo sguaiati; quando ridiamo così mamma dice che sembriamo dei gallinacci.

Mi vengono le lacrime agli occhi dalle risate.

Erano mesi che non mi divertivo così tanto, neanche con le macchinine, nemmeno con Oggi le comiche il sabato mattina.

Poi torna zia Gigliola. "Dai Daniela, è ora".

Zia Dani si alza. "Dai, zia, giochiamo ancora" piagnucola Paola.

"No, bimbi, è ora di andare".

I bambini più piccoli escono con mamma.

In un angolo della stanza zia Dani e zia Gigliola si aiutano l’un l’altra a tirarsi su le cerniere sulla schiena. Hanno due abiti uguali, neri.

Nessuno in questo momento sta facendo caso a me.

Prendo il disegno del bambino che disegna, quello con cui ho vinto.

Esco dalla stanza, c’è un corridoio, con una mattonella del pavimento rotta.

Una porta di legno vecchia, dipinta di bianco, scrostata.

E’ la camera di letto dei nonni.

Sul letto, steso, c’è nonno, con gli occhi chiusi, le mani unite sul petto e un rosario tra le mani.

Chissà perché sta steso sul letto col vestito nero, la camicia e la cravatta.

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