mercoledì 25 gennaio 2012

PERDERE UNA BATTAGLIA

"Ma che vogliamo fare per domani?"
Mamma è seria seria, gli occhi quasi lucidi.
"Provo a parlarle io prima di pranzo" le dico.
"Con me… non lo so… non mi vuole parlare" mi dice e stavolta piange.
"Mamma, non è che non vuole parlare con te. Prova a capirla, si vergogna, prima di ogni altra cosa. Va a finire che presto, magari proprio per domani, ricomincerà a parlarti."
In quel momento dalla stanza di Francesca si sente un mezzo urlo: "Mariarì".
Io faccio un sospiro e uno sguardo di intesa con mamma e entro nella stanza di Francesca.
Mia sorella sta sul letto, a serrande chiuse.
Sono le undici e mezza di mattina, sabato mattina.
"Mariarita"
"Sto qui, France’, sto qui".
Mi prende la mano. Me la stringe.
Poi comincia a singhiozzare, cercando di non fare rumore per non farsi sentire da mamma.

**

Francesca, mia sorella, compie trent’anni domani.
Si è sposata dieci mesi fa, con Enzo.
Dopo due anni di fidanzamento, tranquilli, anzi agitati, perché erano due persone sempre in movimento, spesso a cena fuori, spesso a ballare, a Roma almeno un paio di volte alla settimana.

Si erano conosciuti in palestra; o meglio, come spesso accade in città piccole come la nostra, si conoscevano da sempre, ma non avevano mai scambiato una parola.
Ora di spinning, invece dell’ora di pranzo.

A volte a guardarli facevano invidia: Enzo sta attorno al metro e novanta e ha un fisico scolpito, senza esagerare. Francesca è più alta di me di cinque centimetri, ha un bel corpo, un po’ larga di fianchi magari, ma quella è la caratteristica delle donne della nostra famiglia.

Io, più che i fianchi larghi, sembro un po’ balena, ma che ci posso fare.

Enzo fa il promotore finanziario; io e Francesca abbiamo una profumeria che ci ha messo su papà, quando ha capito che con la sua ferramenta non potevamo farci molto, noi due ragazze.
La profumeria va bene, grazie al cielo, anche se ormai sono quindici giorni che Francesca non ci mette piede.

***

Sento mamma che esce di casa.
Gliene sono grata. Ha capito che se lei sta qui, Francesca resta nella stanza tutto il giorno, a serrande chiuse.
Mi alzo dal letto, anche se Francesca sembra non volermi lasciare la mano.
Singhiozza un ‘no’, quando capisce che sto per aprire la serranda.
La apro.

Francesca avrebbe degli occhi neri stupendi, con delle ciglia lunghe.

Gli occhi sono rossi, gonfi; sotto un occhio c’è un livido nero.
Mi vengono i brividi.
"Che hai fatto all’occhio?"
Silenzio.
Mi avvicino; le unghie delle mani sono tutte morsicate, tranne il pollice destro; nel polso sinistro ci stanno quattro cinque incisioni, col sangue che sembra ancora fresco.

Vorrei urlare ‘cos’hai fatto?’, ma la paura è più forte della rabbia.

Apro un cassettino della scrivania e ci trovo le forbicine; senza dire nulla le tengo ferma la mano e riesco a tagliarle l’unghia del pollice.

"Che hai fatto all’occhio?"

Cinque secondi, poi dieci.

Poi comincia piano piano a darsi piccoli pugni sullo zigomo; i pugni diventano più forti.

Mi lancio e riesco a fermarla.

"Mariarita" ora sta urlando. "Mariarita, aiutami!"

La abbraccio, come mamma ci abbracciava da piccole quando ci svegliavamo dopo un incubo.

Ha il viso impiastricciato di lacrime e saliva.

Chiude gli occhi e si calma.

Le accarezzo i capelli.

Sono due settimane che non li lava.

****

Due sabati fa alle tre.

Mamma e papà erano ad un trentesimo anniversario di nozze di un cugino di papà che sta in campagna.

Io me ne stavo in tuta a fumare, in salone.

Mi fumo quattro sigarette al giorno, lo giuro. Se lo sa papà, che ne fumava trenta e ha smesso…

Suonano alla porta e mi dico ‘Diavolo, ho acceso mo’ mo’ MTV’.

Poggio Donna Moderna sul tavolino del salone.

Apro. E’ Francesca.

"Che c’è, Francé?"

Mi butta le braccia al collo.

"Basta, basta; sono andata via"

"Come via? Via da dove?"

"Via di casa…"

"Via di casa? E Enzo?"

"Enzo sta lì … e rimasto lì…"

"Ma che è successo?"

"Niente"

"Come niente? Sei andata via di casa. Senti chiamo Enzo e gli pa…"

"No!" aveva urlato ed era corsa nella sua stanza.

E da quel momento era restata lì. Si era chiusa dentro, a chiave.

La sera, quando papà e mamma erano tornati, aveva gridato che era lì, restava lì e di non chiamare Enzo.

Papà aveva dato in escandescenze e voleva andare da Enzo.

Mamma per fortuna l’aveva trattenuto a stento; papà c’ha due mani che sono palanche e persino a Enzo l’avrebbe buttato a terra con uno schiaffo, mica scherzi.

Io e Francesca avevamo scambiato qualche parola.

Avevamo preso accordi; sarebbe rimasta in stanza sua, avrebbe anche mangiato là. Nessuno avrebbe fatto parola del fatto che era tornata a casa; nessuno avrebbe cercato di parlare con Enzo e con i suoi, soprattutto con la sorella di Enzo, che era una nostra vecchia amica.

Per due settimane la balla di Francesca malata aveva retto a malapena.

*****

Alla luce della mattina Francesca appare quasi piccola piccola, dentro un pigiama nero.

E’ dimagrita.

Sembra camminare a malapena.

Si siede alla scrivania.

"Alla profumeria ci sta Roberta, quella ragazzetta che avevamo provato l’anno scorso come commessa" le dico per provare un approccio con le cose di tutti i giorni.

Niente.

Allora vado diretta.

"Francè, sono due settimane che stai qua. Ti vuoi ammazzare? Dimmi che è successo, se puoi dirmelo, ma fai qualcosa, reagisci, ti prego. Ci ammazzi tutti, a me, a mamma e a papà, se continui così"

Francesca tiene gli occhi chiusi.

Sembra fare uno sforzo, quello sforzo che fanno i bambini quando devono recitare le poesie in classe.

"Ti ricordi dopo il viaggio di nozze?"

"Sì, Francè"

"Che ti dicevo che era bello starsene a casa il sabato sera; guardare la tv; Enzo tornava con la pizza; poi alle dieci andavamo a letto. A volte stavamo abbracciati fino alle tre di notte; una domenica ci siamo svegliati alle cinque per andare al mare e vedere l’alba"

"E poi, che è successo?".

Cavolo, è l’approccio sbagliato.

Francesca sembra quasi spegnersi.

******

Sussurra qualcosa che sembra "Al bagno".

Se c’è una cosa che non ho capito è quando va al bagno, forse di notte.

Si chiude dentro e mi sembra sulle prime normale.

Poi, di colpo, mi viene il panico.

Nel bagno ci sono le lamette.

E la varechina.

E un armadietto pieno di medicinali.

Non so se bussare o urlare possa servire a qualcosa.

Cerco di avere un tono normale, allora: "Francé ti serve una mano?"

"No", il suo di tono sembra normale, non normale... insomma il tono che sta usando nelle ultime due settimane.

Scarica, apre e senza guardarmi (per fortuna, che devo avere un viso peggio del suo per la paura) se ne rivà in stanza.

Chiude la porta.

A chiave.

********

All’una meno un quarto sento la chiave che gira e lei che si risiede sul letto.

Indugio giusto dieci secondi, sperando che il segnale di via libera non cambi.

Entro.

Si è fatta una coda ai capelli con un elastico e mi sembra un buon segno.

"Una notte, c’avevo le mie cose, mi alzo e vado in cucina. Mi faccio una tisana, di quelle che mi hai regalato tu. Dalla camera da letto sento un rumore. E’ E... lui che russava. Accendo la luce in corridoio. Vicino al letto ci stavano le pantofole di pelle, tipo quelle che c’ha papà; c’aveva un filino di bava qua" si indica il lato della bocca "un vecchio maglione di pile. Sembrava troppo grosso per quel letto. Guardo la mia parte del letto. Io non c’ero, ovvio. Eppure mi sembrava che non ci fosse motivo perché in quel letto ci fossi pure io"

Stavolta non ci casco; non le dico ‘e poi’.

Si volta verso di me e fa "Certo che ‘sta stanza puzza davvero; come diavolo fai a starci"

C’ho visto vita negli occhi, per un attimo ma ce l’ho vista.

********

Ho incrociato la sorella di Enzo fuori dalla Coop, la settimana scorsa.

Io e lei abbiamo fatto insieme le medie e ragioneria e un paio di anni siamo state pure al banco insieme.

Quindi quando mi passa a cinque metri e non mi saluta, mi sembra che lo sta facendo apposta.

"Paola!" urlo.

Sono ancora convinto che è stata un quattro-cinque secondi a decidere se voltarsi o meno.

Si gira e c’ha gli occhi quasi rossi: "Ti prego, Mariarita"

"Ti prego cosa?" le dico io.

"Non parlarmi di Enzo e Francesca"

"Perché?"

"Perché no".

La fisso; vorrei odiarla, ma non ci riesco.

"Te l’ha chiesto Enzo, vero?"

Annuisce.

"Francesca ci ha chiesto la stessa cosa. State zitte, non parlate con nessuno; non parlate con Paola"

Dal finestrino della sua macchina spunta suo figlio; sta in braccio a una ragazza, mi sembra sua cugina. "Mamma! Mamma!".

"Adesso devo andare" fa Paola e spinge il carrello verso la macchina.

Io la seguo con lo sguardo, combattuta se correrle dietro o mantenere la promessa a Francesca.

Paola fa manovra con la macchina, mi viene vicino, tira giù il finestrino, che cigola.

E’ un finestrino a manovella, ancora.

"Enzo non ci ha detto niente; il giorno vive ancora a casa sua, a casa loro; ma la notte torna da noi. Arriva a mezzanotte, l’una, non parla con nessuno; alle cinque fa la doccia, alle sei se ne esce. L’ho incrociato un paio di volte, quando va o quando viene. Ha gli occhi che sembra un pazzo. Ma, ti giuro, cosa cavolo è successo io non lo so".

Ritira su, a fatica il finestrino. Quando ha da poco superato la metà, infilo la mano dentro.

Non so perché, ma le accarezzo la testa. Lei mi stringe la mano e sussurra un mezzo grazie.

********

Dell’incontro con Paola non ho detto niente a nessuna, manco a mamma.

E’ a Paola che penso e non so perché, quando Francesca si è stesa sul letto un’altra volta e voltata verso il muro.

M’è sembrato che Paola ci vedesse qualcosa di più di quello che ci vedevo io: io soffrivo per mia sorella, che è sempre stata la mia prima e più grande amica; lei forse, come dire, è come se, da sposata potesse capire delle cose che io, trentadue anni e ancora a casa con mamma e papà, non riesco a intuire.

"Sai che mi sa che ti riesco a prendere in braccio, per quanto sei dimagrita?" faccio a quella schiena magra magra.

Niente.

Poi, forse mezzo minuto dopo, mi fa "Provaci".

La prendo sotto le ginocchia e sotto le spalle. E’ uno sforzo immane, ma ce la faccio.

Lei fa una cosa che sembrava aver dimenticato.

Ride.

"Cavolo, France’, vatti a fà la doccia" le dico dopo che l’ho rimessa sul letto.

"Se mi ci porti in braccio fino al bagno, la faccio".

Due bambine. Ecco cosa sembriamo. Due bambine che fanno a gara a chi fa la ... meglio. La porto in bagno, la poggio.

Con lo sguardo mi dice di aspettare fuori.

Non si chiude a chiave.

Vado a prendere una sigaretta dal mio cassetto segreto; l’accendo e me ne vado alla finestra del salone per non lasciare la puzza. Sento le chiavi nella porta di casa.

Corro, con la sigaretta accesa.

E’ mamma; guarda me, poi la sigaretta, ma prima che si arrabbi, le dico "Ti prego, fatti un altro giro che si sta facendo la doccia".

Rimane imperturbabile, ma comunque si fa chiudere la porta praticamente in faccia; dopo un po’ sento che la macchina che se ne va, forse da papà alla ferramenta.

Francesca ha chiuso l’acqua. Ora si sente il phon.

E’ lei che apre la porta.

Si è messa il mio accappatoio e sembra quasi che ci si perda dentro.

Il rossore delle guance riesce quasi a coprire il livido sotto l’occhio.

Non ha quei bellissimi capelli neri lucidi di una volta, ma sono così gonfi e puliti, finalmente, che viene voglia di accarezzarli.

Le metto un ciuffo dietro l’orecchio.

Le lacrime le rispuntano, ma sembrano più veloci del normale, le finiscono sulle guance in mezzo secondo.

Chiude gli occhi, probabilmente conta mentalmente fino a dieci.

Riapre gli occhi.

Non sorride, ma ormai non piange più.

Si guarda allo specchio e mi fa: "Senti Mariarì: Roberta di profumi non ci capisce proprio un cavolo!"

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