mercoledì 25 gennaio 2012

Mary, l’attrazione principale del Reality Human Zoo di Svellenburg

1.
Cazzo, non era meglio fare il caddy? Però quel cavolo di campo da golf stava quaranta chilometri fuori Svellenburg; la benzina gli costava più dello stipendio.
Ma porca vacca, pensava Eron, fare il guardiano al Reality Human Zoo.
Certo, tutto meglio dell’Albania, ma la paga faceva schifo anche allo zoo e il lavoro a volte era terrificante.
Il peggiore di tutti era Ryan, il ragioniere: camicia a maniche corte bianca, cravatta nera, una scrivania a loculo, senza luce naturale, con un pacco di fatture, fornitori con la A.
Un minuto di pausa, alla fontanella; poi al cesso si cacciava fuori dalla tasca una fiaschetta e beveva avidamente, poi si gettava in gola quattro Saila e se ne tornava al loculo.
Eron preferiva fare il guardiano, pulire la sera il loculo, i cestini, piuttosto che il ragioniere. Le penne nel taschino, il giornale sportivo nel cassetto, il salvaschermo con quella diavolo di modella nera che sembra un cerbiatto.
Le uniche cose che Ryan poteva fare.
Eron la mattina cercava di guardarlo negli occhi, ma sembravano gli stessi della sera prima.
E poi, chissà cosa diavolo c’era in quella fiaschetta.
2.
Chissà cosa avrà da fissarmi quell'Eron. facile per lui. fare pulizie. essere il guardiano.
avrei bisogno di fare un po' di pulizie nella mia testa. vorrei assumere un guardiano per la mia sanità mentale.
ditemi voi cosa fare! quando dopo una settimana di merda come questa ti senti dire
-papà mi porti allo zoo umano?
speravo di non dover sentire quelle parole al telefono. speravo proprio che mio figlio non volesse andarci. tendenzialmente odio questo posto. un buon motivo forse è perchè ci lavoro già tutta la settimana. e passarci uno dei pochi giorni liberi non mi sembrava una grande idea.
non vorresti andare da qualche altra parte?
non volevo passare il fine settimana a disposizione con mio figlio al Reality Human Zoo. già faccio fatica a vedere il mio Nicolas. grazie a quella stronza di mia moglie. ex-moglie. ma riesce così bene a tormentarmi da farmi credere di essere ancora sposati.
no, ti prego portami!
non volevo ma mi piegai al suo volere. ci vediamo già poco. voglio solo vederlo contento.
- ok come vuoi, ricorda a tua madre di essere puntuale, non come l'ultima volta.
già per arrivare c'era da smaltire la sempreverde coda. tempo perso. tempo che vorrei passare in modo diverso.

mi farò un altro goccio. tanto qui non se n'è ancora accorto nessuno. e poi con le caramelle non si sente che ho bevuto.

3.
Nicolas sapeva che suo padre non capiva la sua insistenza.
Del resto, neanche lui avrebbe capito perché un recente seienne avrebbe dovuto desiderare così tanto di passare la giornata in un posto come quello.
Nicolas non aveva detto a suo padre che tutto questo era per Mary.
Avendo sei anni si sentiva abbastanza grande per poter tenere dei segreti.
E poi neanche suo padre gli aveva mai detto, per davvero, perché lui e la mamma non dormivano più insieme.
Quindi.
Nicolas cominciò a fantasticare su quanto sarebbe successo.
Vide se stesso alla cassa dello zoo, tirare suo padre perché si sbrigasse, con quei biglietti.
Si vide gironzolare per qualche minuto tra le stradine ben curate, fingendo di non aver già chiara in testa la sua meta.
Si vide, finalmente, davanti alla gabbia di Mary.
Sentì il cuore bussare per uscire.
Si fermò.
La fisserò così intensamente che sarà costretta a voltarsi, pensò.
Esercitò il suo sguardo magnetico davanti allo specchio.
Quando si sentì pronto, proseguì.
Vide Mary voltarsi verso la folla.
Vide Mary trovarlo in mezzo a tutte quelle persone.
Vide Mary allungare la mano verso di lui, per invitarlo a entrare.

E in un attimo fu dentro e la prospettiva era cambiata.
Non era più un anonimo seienne a cui non si spiegavan le cose.
Ora era al centro del mondo e un sacco di gente stava lì ad osservarlo.
Fra tutti spiccava il volto di suo padre, paonazzo, sudato, incredulo.
Stava a bocca aperta senza riuscire a emettere suono.
Ma Nicolas lo sapeva a che stava pensando, lo sapeva sempre a cosa pensavano i suoi genitori.
Ora nella testa di suo padre si leggeva a caratteri cubitali una sola frase "CHI CAZZO GLIELO SPIEGA A EDITH DOVE E’ FINITO NOSTRO FIGLIO???????? "

4.
Questa storia schifosa dovrebbe finire. Edith prese una sigaretta da dentro un cassetto. Lui, quello per cui era andata via di casa, il grande avvocato, si stava facendo la doccia.
Certo, quella casa che le aveva affittato era davvero bella, un grande salone centrale, con poltrone firmate e schermo al plasma, una camera da letto con gli specchi messi esattamente dove dovevano stare.
In bagno Jacuzzi e doccia.
Tre anni a fargli la segretaria, poi la prima volta in macchina, in garage, sui sedili in alcantara di un'auto a noleggio a lungo termine, dopo mesi di sorrisi, doppi sensi, un paio di baci discreti.
Ma solo quel giorno aveva capito cos'era diventata: una mantenuta e Edith, che comunque non aveva rimpianti, voleva essere il centro della vita del suo uomo e non la scopata dei giorni pari.
Il salone aveva una vetrata e una vista spettacolare; una vista che arrivava lontano, fino ai limiti della città, fino al Reality Human Zoo.

5.
Mary ripassò mentalmente tutte le clausole del contratto. O, almeno, tutte quelle che riusciva a ricordare. Rilesse più volte, nella sua testa, tutto ciò che aveva esplicitamente richiesto di escludere. Acqua non potabile, esclusa. Mancanza di assistenza medica in caso di malattia grave, esclusa. Accoppiamento forzato con altri componenti dello zoo, escluso. Possibile che avesse tralasciato proprio quella clausola?
Maledisse la sua ingenuità per l'ennesima volta.
Ne aveva già parlato durante gli incontri mensili con il dirigente preposto alle relazioni con le attrazioni a lungo termine e quindi conosceva la risposta. Lui aveva verificato il suo contratto. E le aveva ricordato come, sue testuali parole, "tutto ciò che non fosse esplicitamente escluso dovesse considerarsi tassativamente pubblico".
Cercò di concentrarsi pensando intensamente al suo piccolo Michael, a casa, lontano da tutto.
Quando riuscì finalmente a defecare sentì un lungo applauso nascere spontaneamente dalla folla dietro alle transenne.

Mary capi' dopo un bel bidet rinfrescante, che la vera merda era rimasta fuori dalle transenne e penso': ma chi c...se fotte delle clausole, se viviamo in un mondo che applaude anche questo?

Pensò a cosa l'avesse spinta lì.
Se era una reclusione a cosa si doveva?
Avrebbe dovuto andare per le strade, selvaggia, a stupire gli altri perchè sapeva come farlo. Invece si mostrava parzialmente al pubblico, secondo le clausole del contratto.
Era la cicatrice di una precedente vita a sottrarla alla luce?
Era il desiderio di essere stupita, di pescare a occhi bendati l’ostrica che racchiudeva la perla. E forse solo per riconsegnarla alle profondità del mare.
Il piacere di confidare in una scintilla che desse fuoco alle polveri.
E la scintilla doveva venire, lei questo lo sapeva.

Sapeva che le vere scintille di vita potevano essere solo dono di un bimbo innocente. Lei, del resto, lo aveva capito solo dopo il secondo aborto. Quando alzava lo sguardo verso la folla sperava sempre di incrociare gli occhi di un piccolo, non ancora intaccati dallo squallore che intuiva dietro tutti gli altri. Allo stesso tempo sperava di incrociarne sempre meno, cosa che avrebbe significato che dei genitori, finalmente, si stavano chiedendo l'utilità di portare un figlio al Reality Human Zoo. Sapeva senz'altro di saper resistere fino alla fine, fino al termine imposto dal contratto; dopo, avrebbe avuto abbastanza soldi per sé, per Michael, per potersi sentire sicura anche se la sua carriera nel mondo dello spettacolo fosse finita. Strinse i denti, alzò gli occhi dal pavimento e allora vide la testa bionda di Nicolas eludere la sorveglianza di Eron ed avvicinarsi. Sbigottito dal suo stesso coraggio, sembrava esitare di fronte alla gabbia trasparente. Allungò la mano e bussò.

6.
Il suono del cellulare interruppe il filo di pensieri nella testa di Edith.
Sua madre.
Da quando aveva lasciato quel "buono a nulla"di suo marito, sua madre la chiamava spesso, anche solo per chiacchierare o per farsi raccontare in quale meraviglioso mondo ora Edith viveva.
"Mamma, sono occup...." Non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase. Sua madre stava urlando.
"Accendi la tele sul canale 9! Accendila! "
Meccanicamente, senza aver capito il perchè di tanta agitazione, prese il telecomando e accese la TV.
Davano un servizio in diretta dallo Human Zoo.
- Dove lavora Ryan-
Era un collegamento straordinario, c'era molta concitazione alle spalle della giornalista.
Si tranquillizzò pensando che suo figlio non poteva essere lì.
Mancavano ancora due giorni alla gita programmata con suo padre per quel fine settimana.
Stava cominciando a pensare a cosa poteva aver combinato quell'inetto del suo ex-marito quando le parve di riconoscere la sagoma di Nicolas, ma il collegamento era molto disturbato, stretto tra le braccia di una donna.
Un primo piano fugò ogni suo dubbio.
Gli occhi di Nicolas fissavano il monitor. Era tenuto stretto, come a farsene scudo, da una donna giovane, magra, con lunghi capelli castani che le coprivano in parte il volto. E anche lei fissava il monitor con due occhi scuri e pieni di terrore, ma al tempo stesso determinati e forti.
L'inquadratura si allargò: Nicolas era prigioniero di Mary nella gabbia.

7.
Edith si mise qualcosa addosso. uscì come una furia dalla porta, dimenticandosi del grande avvocato e della doccia.
Scese due piani a piedi, poi si ricordò che ne aveva altri dieci da fare e decise di prendere l'ascensore: invece di premere il tasto, si mise a bussare, poi a battere.
Finalmente l'ascensore arrivò: nello specchio una donna coi capelli bagnati, senza un filo di trucco, con occhi stravolti che si ripassava fissandosi nello specchio la sua scala di priorità.
E Nicolas stava al numero uno, anzi era tornato al numero uno.
Era così stravolta che pensò a quel bastardo di suo marito solo quando si mise in macchina, dentro quella che per mezzo anno era stata la station wagon di famiglia.
Lo ammazzo, lo faccio ammazzare, pensava.
Ma poi dentro agli occhi di Edith tornarono, fissi e pieni di terrore, gli occhi di quella donna, della donna che in quel momento stringeva con mani rapaci Nicolas.
Edith guidava a scatti; il motore si spense un paio di volte.
La strada era vuota.
Sembrava che Svellenburg si fosse fermata, che tutta la gente la stesse a guardare da dietro le serrande o davanti alla tv, guardasse andare quella auto verso il Reality Human Zoo, verso una battaglia.
Sembrava che tutta Svellenburg stesse trattenendo il fiato.

8.
- fantastico! ora sì che sono VERAMENTE nella merda!
cosa fare adesso. mio figlio in diretta nazionale nella gabbia dell'attrazione principale del REALITY HUMAN ZOO. dovrebbero cancellare quella seconda parola. qua non c'è più nulla di umano. sicuramente la mia dolce ex-moglie ora starà fissando lo schermo del televisore. sicuro come l'oro. l'avrà avvertita quell'arpia dell'ex-suocera. qui siamo tutti ex. ex-mogli, ex-mariti, ex-suocere. ex-esseri-umani. siamo delle sottospecie di iene. altro che cazzi. la mia adorabile ex-suocera avrà chiamato la dolce figlia. quella se ne sta tutto il giorno davanti al televisore. ora la dolce ex-moglie starà fissando quel cazzo di schermo. è la mia fine. tra poco mi saranno addosso tutti. giornalisti. telecamere. gente curiosa. meglio godermi tutto questo. diventerò famoso. in qualche modo. forse non il migliore. ma avrò i miei cinque minuti di attenzione. sarò il padre snaturato del ragazzino rapito. anche se qui non ho ancora capito chi abbia rapito chi. un goccio mi aiuterà ad affrontare la situazione. anzi. intanto che ci sono saluto in camera. mamma e papà. ex-suocera ed ex-moglie. saluto tutti.
- lei è il padre del ragazzino?
ecco gli sciacalli. sorridi Ryan.
- legalmente sì.

9.
Nicolas osservava tutta quella confusione senza capire bene cosa fosse successo.
Tutto era endato esattamente secondo le sue fantasie.
Beh, non proprio tutto.
Ad esempio non aveva dovuto tirare suo padre perché si sbrigasse con i biglietti, per il semplice fatto che suo padre non c'era.
Nicolas aveva deciso che non c'era alcun motivo valido che lo costringesse ad aspettare fino a Sabato. Sapeva la strada e aveva da parte abbastanza soldi per l'autobus e il biglietto. Gli sarebbe rimasto anche qualche spicciolo per comprare le patatine da tirare al vecchio della gabbia 5.
Così adesso era lì. Proprio dove avrebbe voluto essere.
E non capiva il motivo di tutta quell'agitazione.
Quando vide il volto di suo padre quasi sorrise.
Adesso si che era proprio tutto uguale.

10.
Edith arrivò nel grande parcheggio subito fuori lo zoo.

Si proiettò fuori dalla macchina.

La station wagon rimase con lo sportello aperto e un cazzo di fischio continuo stava a significare che la chiave era rimasta nel quadro.

Edith stava correndo, su un paio di pantofole con ricami cinesi, viola, col tallone che strusciava sull'asfalto.

E coi talloni sanguinanti arrivò al cancello: nessuna divisa, nessun programma, nessun buono per il ristorante messicano.

Anzi, qualcuno le aprì un portoncino in mezzo alla cancellata.

Edith fece in tempo a guardare una scritta, rossa in campo nero.

Una scritta inequivocabile: Lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate.



11.
"EHI..! STAI UN PO' ATTENTA! Ci ho messo due ore a raccoglierle tutte!!"

Quella donna gli era quasi franata addosso, ma era riuscita a non cadere e aveva proseguito la corsa, come fosse passata attraverso un fantasma.
Per fortuna Eron era un tipo paziente e senza lasciarsi scomporre si chinò per raccogliere di nuovo tutte quelle cartacce.

"Che cazzo avrà da correre poi..In ciabatte. Cazzo, era in ciabatte..! La gente è strana.."

Riempito di nuovo il sacco lo chiuse e se lo caricò sulla spalla. Si accese una sigaretta e fece per incamminarsi verso il gabbiotto.

"Ma..come mai tutta quella gente..là c'è..cazzo, la gabbia di... Ma che diavolo.."

Collezionando mezze frasi si ritrovò davanti alla gabbia di Mary..
Ma quello che vedeva era solo confusione. Si alzò sulle punte dei piedi.
Niente.

"Quello è mio figlio! Tiratelo fuori!"
Eron si girò. Quella donna strillava come una posseduta.

"La signora in ciabatte. Ecco cosa aveva da correre. Ma.."

Eron fece un rapido calcolo mentale.
Donna che corre. In ciabatte.
Donna che corre, in ciabatte e strilla.

Merda.

"Permesso, permesso cazzo!!! Sono il guaradiano! Lasciatemi passare!"

Quando finalmente riuscì a trovarsi davanti alle sbarre si fermò di colpo, come colto da paresi. Gli occhi spalancati e l'espressione intronata.

"Oh merda..Nicolas.."

12.
"Così mi fai male!"
Mary sembrò non sentirlo. Le cose non stavano andando come aveva pensato. Non che avesse qualcosa di preciso in mente, ma sicuramente non si aspettava di ritrovarsi in diretta nazionale con una squadra d'assalto pronta a intervenire.
Quando aveva visto quel bel bambino bussare alla sua gabbia si era accostata al vetro.
Lo aveva accarezzato, maledicendo quella lastra fredda e dura. Gli aveva ricordato il suo Michael, in un giorno d'inverno, bussare alla finestra fregandosi le mani in quei minuscoli guanti. Con una nuvoletta di vapore bianco che accompagnava ogni parola.
"Sbrigati, mamma, fammi entrare", gli aveva detto allora.
E lei aveva obbedito. Lo aveva fatto entrare. E la stessa cosa aveva fatto qui e ora.
"Ti ho detto che mi stai facendo male!"
"Oh, Michael, scusami", gli disse, prima di allentare la presa.

13.
Buonasera, signore e signori, qui è Rufus Lloyd che vi parla dal Reality Human Zoo di Svellenberg.
Voi siete su Canale 9 e questa è Live, la trasmissione che va sulla notizia.
Stiamo assistendo in questo momento ad un evento terribile, signori spettatori.
Mary, una donna di razza caucasica di trenta anni, attrazione principale dello zoo, ha rapito e portato nella sua gabbia Nicolas, un bambino di sei anni.
Vedete inquadrata ora la madre del piccolo Nicolas, questa inconsapevole vittima della cattiveria e dell'odio di questa belva rinchiusa nella sua gabbia di dolore.
La madre, Edith Kramer, una segretaria di trentadue anni, è stata prontamente avvertita dalla polizia centrale di Svellenburg ed è stata accompagnata sin qui dalla squadra volante.
Eccola, è una maschera di dolore.
Pochi minuti fa, il commissario Walker, comandante della polizia di Svellenburg, ci ha dichiarato che reparti speciale delle teste di cuoio sono già in arrivo e sono pronte ad intervenire.
'Non sarà un bagno di sangue, i nostri uomini sono altamente esperti', ha dichiarato Walker.
A voi studio, richiederemo la linea non appena ci saranno novità.
Un saluto da Live, la trasmissione che va sulla notizia, Rufus Lloyd, Canale 9, Svellenburg.

14.
- quindi lei è il pad.. scusate ecco la madre! signora! signora! siamo di canale6! la prego signora!
ecco qua. il mio momento di notorietà è andato. con il microfono. e le telecamere. e le luci. eccomi ancora qui in disparte. messo in un angolo per l'ennesima volta. sempre lei. "sono incinta. non avevi detto che ti sapevi controllare? idiota". nell'angolo dei cattivi. faccia al muro. sempre lei. "è finita. me ne vado". da solo. sempre lei. lei e la sua teatralità. 'Non sarà un bagno di sangue, i nostri uomini sono altamente esperti'. bene. anche i corpi speciali. sono un tassello inutile. sbattuto come uno straccio. "ancora ubriaco! fai schifo! vattene!". lei e i suoi comandi. potrei sedermi e guardare lo spettacolo. le tute nere. i lacrimogeni. i flash-bang. l'irruzione. Mary a terra e Nicolas salvo. potrei. al diavolo.
- ehi Eron! ehi!
nonostante il casino che regna sovrano riesco a comunicare con lui.
- che c'è?
mi accorgo che dopo tre anni è la prima volta che parliamo
- dammi le chiavi
è quasi surreale la scena. è quasi buffo tutto questo.
- cosa vuoi fare? sei pazzo?
se non fosse che
- quello è mio figlio. dammi le chiavi.

15.
La confusione intorno alla gabbia stava diventando insopportabile. Tutta la gente, i flash dei giornalisti, ma soprattutto le urla di quella donna le facevano scoppiare la testa... Mary chiuse gli occhi per un istante, e si rese conto che aveva iniziato a tremare.
Doveva cercare di stare calma. Doveva assolutamente stare calma. Sapeva bene infatti, che quando - per qualche motivo - si innervosiva le succedeva un fatto strano. Era come se perdesse conoscenza... e in quei momenti faceva la 'cosa'. Quella cosa che l'avevano portata lì, dentro la gabbia.
Il pensiero la innervosì ulteriormente.
Mentre cercava di fermare il tremolio della sua mano, un grido iniziò a sfuggire dalla sua bocca.
E tutto il pubblico - come d'incanto - si azzittì.

16.
Ebbe per un attimo il dubbio di averne spenta una da poco. Nel dubbio, appunto, se ne accese un'altra. Distese le gambe sul divano scostando con il piede una pila di vecchi giornali. Poi ruttò. Illuminato in viso dal colore blu dello schermo, strinse gli occhi espirando. Il capo leggermente inclinato verso la spalla dava la sensazione che stesse aspettando qualcosa, con aria di sfida. In realtà si stava solamente lasciando andare, staccando uno ad uno gli interruttori di ogni minimamente significativa attività cerebrale. Sulle spalle la solita giornata cominciata male e finita peggio, passata a gironzolare per bar e ritrovi per gente come lui. "Devo avere un angelo custode da qualche parte...ehi! non mi rompere i coglioni...se ti trovo ti apro in due...". "Vediamo cosa siete capaci di fare!" sfidava i passanti capitati per caso nel bel mezzo del suo ring immaginario. Ottava ripresa, tre secondi al gong. E cadeva. Ubriaco. Lo riportarono a casa, come sempre, i soliti amici con cui divideva le giornate. Lo lasciarono cadere sul divano che erano da poco passate le due del pomeriggio. Si risvegliò dopo qualche ora. Un pacchetto di sigarette quasi pieno in terra, una scatola di fiammiferi. Rotolò in posizione eretta. Tre passi avanti per prendere una birra sul tavolo, due a destra per accendere il piccolo televisore. tre passi indietro per lasciarsi ricadere sul divano. Il telegiornale iniziato da poco stava parlando della situazione internazionale. Seguire il notiziario, in condizioni di lucidità, lo faceva sentire comunque rispettabile. Gli dava l'impressione che quella esistenza fino ad allora fallimentare fosse comunque l'esistenza di una persona sfortunata, forse, maldestra, probabile, ma comunque una persona in qualche modo affidabile, attenta a ciò che le succedeva intorno, interessata e cosciente. Con anche una dozzina di idee politiche mica male, che prima o poi ne avrebbe parlato con qualcuno che conta, per vedere cosa si poteva fare...
Seguire il notiziario con addosso i postumi di una sbronza era un esercizio di equilibrio mentale e fisico, la lingua all'angolo della bocca, scarsissime possibilità di riuscita.
Cronaca. Ultimi aggiornamenti sul caso del bimbo intrappolato nella gabbia del Reality Human Zoo...
Corrucciò la fronte. Raddrizzo la testa in un goffo tentativo di mostrare attenzione.
Notò i capezzoli della giornalista inviata sul luogo. Si grattò la pancia con la mano sinistra.
Poi l'inquadratura passò sul bambino, seduto in terra, e su quella donna.
"Ehi, vuoi vedere che è quella che ha visto Morten ieri l'altro mentre cagava davanti a tutti? Aha...che schifo...merda...te lo trovo io un bel lavoretto se non sai cosa fare...ma guarda che...ma...quella è...o cazzo...". In un attimo era sveglio. E incredibilmente sobrio.
"Mary!!"

17.
L'immagine del Tg lo ricatapultò, senza pietà, a tanti anni prima. A quando lui e Mary percorrevano il medesimo sentiero.
A quando uno sguardo bastava loro per capirsi.
A notti trascorse a mangiare, parlare, far l'amore...
A lui bastava guardarla per sentirsi felice, per capire che per lei si sarebbe buttato nel fuoco.
La osservava addormentata, mollemente distesa in un letto senza futuro.
Ora, la voce del cronista sullo sfondo, il suo pacchetto di sigarette quasi pieno, i mille pensieri che si agitavano nella mente, sgomitando come passeggeri scomodi di una metropolitana.
E poi quell'urlo, agghiacciante. La voce di Mary, disperata.
Lui la conosceva, quel grido straziante aveva cambiato per sempre la sua vita.

18.
L’hai sentito cantare il vento freddo di dicembre
quando ti diceva quali occhi guardare?

Le hai viste planare le nuvole di neve di gennaio
quando quello che avevi dentro l’hai chiamato tesoro?

L’hai visto febbraio vestito da speranza
dirti quante poesie possono starci in un cuore?

L’hai sentito l’odore della rugiada di marzo
quando un bacio, una primula, una primula, un bacio…

L’hai sentito come scalda il sole di aprile
se lo lasci arrivare dove deve arrivare?

L’hai visto maggio (è banale) riempirti di rose
il giardino e di rosa il tramonto?

E giugno, un alito caldo
a cercare un respiro, silenzio, parole

E luglio è arrivato e il concerto è finito
e rimane soltanto, enorme, il rimpianto
dell’incendio di brividi, che eravamo noi due


'Cazzo, Mary, il cervello non me lo sono bruciato del tutto; quella cavolo di poesia me la ricordo. Ti avevo scritto pure una cavolo di poesia, Mary.

L'incendio di brividi, ecco cos'eri.'

Pensava queste cose, mentre il grido straziante continuava a rimbalzare contro le pareti del suo cervello.

'Dov'è che ci siamo incontrati. Come si chiamava quella rossa, con quegli occhi da cagna in calore, quella che ci ha presentato, dopo quel concerto. Tu stavi col batterista: era più scoppiato lui allora di quanto lo sono io adesso.'

Spense una sigaretta mezza iniziata.
Con le mani che continuavano a tremare se ne accese un'altra.
'Cazzo, l'ultima.'
Quando era finita tra loro, era uscito di scena con la frase più banale del mondo, 'scendo a prendere le sigarette'.

Non ricordava più cosa fosse successo dopo, se fosse passato a riprendere le sue cose, dove avesse vissuto per un tempo che gli sembrava a volte un giorno, a volte settimane.

E come quando era andato via, anche stavolta pensò che usciva di casa per andare a comprarsi un altro pacchetto.



19.
Che era stato lui ad andarsene se lo ricordava. Il grand'uomo con le braccia muscolose e i pettorali ben in vista. Quello che non aveva paura di nulla. Quello che la stringeva forte al primo gong del temporale.
Quello che non aveva reagito quando lei gli aveva detto: "Non lo farò una terza volta. Questo sarà il mio bambino".
Quello che aveva guardato, da quel giorno, la sua vita sgretolarsi. Solo guardato, come se fossero diventati giorni di qualcun altro.
Il suo terrore aveva spento l'incendio che erano stati.
Qualche anno dopo l'aveva chiamata.
Voleva spiegarle, cercava il suo perdono. Per se stesso, non che avesse intenzione di tornare.
Lei lo aveva ascoltato in silenzio. Non aveva detto una parola.
Solo, quando stava per riattaccare, aveva sentito un suono cupo, profondo.
Aveva riavvicinato la cornetta all'orecchio proprio mentre quel suono si trasformava in un grido.
Lo aveva assorbito, tutto.
Quel grido che aveva annegato il suo futuro adesso era diventato la sua guida.

20.
Nicolas era seduto per terra con le ginocchia sotto il mento. Nicolas guardava quella signora che gridava. Non gridava come gridano in genere i grandi. Non come gridava in genere la mamma quando era arrabbiata e diceva cose come “Ma si può sapere che hai combinato in questa stanza?” e faceva gli occhi cattivi. Non era così. Quella signora era strana. Gridava come quei bambini che piangono quando la mamma li lascia in classe il primo giorno di scuola. Come faceva Marcella certe mattine di pioggia, per esempio. Quando continuava a urlare e non riprendeva neanche fiato e neanche sentiva la maestra. E la maestra le diceva: “Marcellina, se fai così finirai per far piangere anche noi”. E infatti un po’ di voglia di piangere veniva. Saliva su per la gola, si arrestava sulle labbra, indecisa se andare avanti o tornare indietro.
Fuori dalla gabbia di vetro Nicolas aveva cercato gli occhi di quella signora. Era uno sguardo che conosceva: pesce rosso nella sua boccia. Pomeriggi interi a fissare il globo di vetro immaginando come dovesse essere guardare le cose da lì dentro. E quando metteva il dito indice sul vetro il pesce si avvicinava, lui spostava il dito e il pesce lo seguiva. Perché lui sapeva parlare con tutti gli animali. Anche con i criceti, anche con il coniglio nano. Lui sapeva sempre cos’è che volevano. Frugò nelle tasche, tirò fuori una Big Babol. L’ultima. “Vuoi?” domandò tendendola alla signora col palmo aperto della mano.

Allungò la mano.
Esitò un istante, giusto il tempo di guardare Nicolas negli occhi.
"Una Big Babol non si rifiuta mai.."
Gli sorrise, rassicurata da una presenza che non poteva nuocerle.
Se ne stavano in piedi, con le mani intrecciate. Guardavano la bolgia che li circondava e scoppiavano palloncini in faccia ai curiosi. Come se per un attimo quel dentro fosse diventato il fuori. Come se fossero loro a guardare, osservare straniti il fenomeno in gabbia: telecamere, giornalisti, curiosi, mamma e papà.
In fondo era quello che volevano tutti e due. Allontanarsi da quella gente, isolarsi.
"Devo farlo, se voglio sopravvivere.."
"Con te, voglio stare con te..Tu mi basti. Tu sei diversa da tutti "i grandi" che conosco.."
Uniti quei due potevano mettere il mondo tra parentesi.

L'aveva guardata per mesi, appiccicato a quel vetro.
Suo padre aveva cercato di spiegargli che allo zoo c'erano anche altre attrazioni.
Niente da fare. Lui finiva sempre lì, appiccicato a quel vetro.
"Ti porterò via, un giorno o l'altro".
Glielo aveva promesso. Ogni giorno. Per mesi.

Lui voleva tirare fuori lei.
Lei voleva di tirare dentro lui.

"Andremo via, insieme.."
"Resterà qui con me, e io non sarò più uno spettacolo da baraccone.."
Due anime in fuga, dal mondo.

Lo stava tenendo in ostaggio. Ecco cosa stava facendo.
Non lo avrebbe lasciato uscire.
Lui era l'unico capace di sedare le sue grida.
Di riconciliarla con se stessa e con il ricordo del suo bambino.
Perché lui non aveva bisogno delle sue grida.
Ma la gente fuori..la gente fuori sì.
Quelle grida disperate che avevano il potere di annullare la loro disperazione.
Campi magnetici, empatia, suggestione.
Gli avevano dato mille nomi. Ma teorie e pubblicazioni avevano solo ingrassato le tasche degli esperti. Nessuna risposta.
In fondo la risposta non interessava a nessuno.
Interessava soltanto che davanti a quella gabbia ogni dolore spariva.
Bastava impaurirla, infastidirla, provocarla.
Il meccanismo era sempre lo stesso. Un brivido, un tremolio, prima alle mani e poi su, fino al cervello. Il respiro le si fermava in gola e per farlo uscire, il suo corpo iniziava a gridare, in preda ai ricordi, in preda alla rabbia e alla consapevolezza di non avere vie d'uscita.
E quei "maledetti bastardi", come li chiamava lei, che stavano lì fuori ad assistere allo spettacolo, come fedeli da santuario in attesa di un miracolo, prendevano la loro dose di salvezza e tornavano a casa sollevati.
Aveva inconsapevolmente risolto il male del secolo.
"Il dolore degli altri impallidisce di fronte al mio. Semplicemente..si annulla.."
L'avessero chiesta a lei la risposta.

21.
Vedete, il problema non è salvare un ragazzino oppure una donna in una gabbia che gridando pone un caso di interesse scientifico.
A me importa solo che la gente segua questa storia senza badare più a quello che succede nella vita reale.
Gli eventi ci pongono sempre davanti a qualcosa che può essere un problema od un'opportunità. In tutti i corsi di business administration t'insegnano proprio questo: devi trasformare tutto in opportunità.
Questo è un caso mediaticamente importante. La gente è a casa davanti alla televisione, proprio come gli abbiamo insegnato a fare. La congiuntura economica è disastrosa, i leader che abbiamo dato in pasto al popolo, dei figuranti per carità, sono evidentemente degli inetti.
Ecco che allora entro in campo io: lo spin doctor. Quello che crea la realtà mediatica: la versione ufficiale ed anche le altre.
La mia strategia prevede infatti che il leader dell'opposizione, anche lui è dei nostri ovviamente, rilasci una dichiarazione che faccia montare il caso. E deve dire esattamente quello che ho scritto in questo documento.

Ho una parte per tutti, ma devo parlare subito con il ragazzino ed i suoi familiari. Non si può far star zitta quella pazza, intanto?
Dite ai giornalisti di attendere le mie direttive.

22.
Ora ho le chiavi. Il buon Eron si merita una bella bottiglia quando tutto questo sarà finito. Se e come finirà lo vedremo poi. Per ora ho le chiavi. Scivolo tra le persone che continuano ad accalcarsi. Perché siano tutti qua non l'ho mai capito. Non hanno nulla di meglio da fare? Forse no. Forse aspettano solo questo. Aspettano la probabile tragedia per poi piangere. come se fosse morta la loro madre o il loro figlio. Aspettano la probabile tragedia per fasi riprendere con i fiori. con le lacrime. con le loro parole vuote. Come avviene sempre. Come avviene sempre. Aspettano la lieta conclusione per applaudire. Emozionarsi. Piangere. Comunque vogliono piangere. Per fortuna questa confusione farà da paravento. Devo muovermi. Prima della polizia. prima dei corpi speciali. prima della fine della partita. Veloce Ryan. Veloce. Tanto ci pensano gli altri a tenere tutti occupati. Affascinati. Presi. Mary con il suo urlo. Nicolas con la sua tranquillità. Edith con le sue scenate isteriche. Mi devo sbrigare. Sono solo una comparsa. Scivolo nella zona riservata. "Accesso riservato agli addetti del Reality Human Zoo". Cerco la chiave. La trovo. Apro. Richiudo la porta dietro di me. tre mandate. click. click. click. Mi appoggio alla porta. prendo la bottiglia. la apro. Solo un sorso. devo fare in fretta. veloce. Guardo le targhette sulle porte che portano alle gabbie. Jack. l'ubriacone. Mike. il paraplegico. Jason e Morten. gli omosessuali. Mandy. la tossica. Mary. eccola. l'attrazione principale del Reality Human Zoo. basta trovare la chiave. eccola. apro la pesante porta. la richiudo e la blocco. ben bene. "Non aprire. Zona ad esposizione pubblica". In culo al non aprire. In culo alla zona pubblica.
- Canale 6 seguirà passo passo le trattive con l'aiuto della pol... ma attenzione! Scusate, attenzione! C'è una terza persona nella gabbia. Ma chi è?
- Ciao Nicolas. Ciao Mary.
- Papà!

23.
'Quel cazzo di batterista c'aveva il braccio destro con tatuato uno di quei serpenti aztechi con quei nomi impossibili. Io, se fossi stato Mary, c'avrei scopato solo a luci spente; come cazzo si fa a non pensare che quel cavolo di serpente non si stacchi dalla pelle e non ti strangoli'.

Aveva superato il tabaccaio e anche il distributore automatico nella piazza quadrata, di fronte ai giardini. 'Vent'anni fa 'sto quartiere lo chiamavano città-giardino, per quattro panchine e due scivoli; il cesso di Svellenburg, anzi no, lo scannatoio, il bucatoio lo dovrebbero chiamare'.
Furono gli ultimi pensieri lucidi; macchine non ne aveva o se l'aveva non si ricordava dove diavolo poteva stare.

La strada per lo zoo non la conosceva, ma fu tutto fin troppo facile.
Quattro bambini con le bici, vecchie bici da cross anni settanta, gli passarono accanto; dove altro potevano andare?
Gridò qualcosa e loro si fermarono; a quello con la bici più grande fece vedere qualcosa che c'aveva in tasca, fumo forse.
Il contratto verbale fu chiuso in un lampo.
Lui pedalava in bilico, come un ciclista in salita e il bambino stava sulla sella con le gambe penzoloni.
Cazzo, quanto era difficile stare in equilibrio.
24.
“Ci conosciamo?”, gli disse Mary interrompendo il suo urlo.
“Beh, in un certo senso. Io so chi sei” rispose Ryan.
“Penso che in tanti lo sappiano, ormai”
“…”
“…”
“Lui è mio figlio”
“Oh, penso che ti sbagli. Lui è mio figlio”
“…”
“…”
“Se non lo lasci andare ti spareranno. Non sono ammesse insubordinazioni all’interno dello Human Zoo. Le attrazioni che danno segni di squilibrio vengono abbattute”
“Ma io sono un essere umano. Non possono spararmi”
“Ti sbagli. Le regole sono chiare. Avresti dovuto leggerle prima di firmare il contratto”
“E tu cosa ne sai?”
“E’ il mio lavoro. Io sono il ragioniere. Li archivio tutti io, i contratti. E prima li controllo”
“…”
“…”
“Voglio andarmene da qui. Voglio rivedere mio figlio. Quello vero”
“Questo non è possibile. Il contratto non prevede nessuna clausola rescissoria. L’unico motivo valido di rinuncia prima della scadenza naturale deriva dalla morte dell’attrazione”
“Se muoio non lo rivedo, mio figlio”
“Mi dispiace. Il contratto è inoppugnabile, lo so per certo. C’è una giurisprudenza alta un chilometro”
“…”
“…”
“E se non ci fosse più nessun contratto?”

25.
Buonasera, signore e signori, qui è ancora Rufus Lloyd che vi parla dal Reality Human Zoo di Svellenberg.
Voi siete su Canale 9 e questa è Live, la trasmissione che va sulla notizia.
Ricapitoliamo la situazione: Mary l'attrazione principale dello zoo, ha rapito e portato nella sua gabbia Nicolas, un bambino di sei anni.
Il padre del bimbo, Ryan Nimitz, appositamente autorizzato dal commissario Walker, è entrato nella gabbia e sta cercando di ammansire la belva umana.
In questo momento sta parlando con Mary; inquadriamo ora il bambino, Nicolas, di cui ovviamente non diremo il cognome, trattandosi di un minore.
Guardatelo, vittima di una triste storia di separazioni e litigi tra suo padre, che risulta essere il ragioniere dello zoo e la madre che, pare abbia abbandonato la famiglia, pare dopo una depressione.

Ci è arrivata ora la notizia che il vescovo Brandt ha inizato una veglia di preghiera per Nicolas, dopo aver comunque stigmatizzato il crollo dei valori familiari.

A voi studio, richiederemo la linea non appena ci saranno novità.
Un saluto da Live, la trasmissione che va sulla notizia, Rufus Lloyd, Canale 9, Svellenburg.

26.
Teneva la busta stretta tra le mani. Da qualche minuto, ormai. Un tempo sufficiente a macchiarne di sudore i bordi. La sventolò un po’, come se fosse preoccupato che le secrezioni del suo corpo potessero cancellarne il contenuto.
Quando aveva ricevuto l’ordine aveva pensato di aver sentito male.
Balle.
Aveva solo sperato, di aver sentito male.
In realtà sapeva dall’inizio come sarebbe finita.
Quando chiamavano loro, la sua squadra, finiva sempre a quel modo.
Stavolta però aveva sperato in qualcosa di diverso. Tutta quella gente, tutte quelle televisioni. Una volta, se non altro, quelli sciacalli servivano ad impedire le sue azioni.
Era stanco.
Aveva discusso, per quanto possibile.
Cioè quasi niente.
E aveva chiesto che glielo mettessero per iscritto. Giocandosi la carriera.
Inspirò. Espirò. Inspirò.
Chiamò con voce tonante il suo miglior cecchino.
“Preparati a sparare”, gli disse.

27.
Nicolas iniziava ad avere un po' sonno. Ma tutta quella gente, intorno, tutte quelle luci e la confusione non lo lasciavano dormire. Sbadigliò e cercò di trovare una posizione più comoda, su quel pavimento così duro.

"Cantami una canzone."

"Come?"

"Sì, una canzone. Per farmi dormire. Non proprio una ninna nanna, per quelle sono grande. Ma le canzoni mi piacciono, mi fanno dormire."

"Io non ne so di canzoni. Mi pare."

"Uff. Ho sete."

"Bevi."

"Quest'acqua fa schifo, preferivo l'aranciata."

"L'aranciata non c'è. Però magari poi la chiediamo ai quei signori lì fuori. Adesso aspetta che sto pensando se mi viene in mente una canzone..."

"..."

"..."

"Mary."

"Sì?"

"Su quel tetto lì c'è un signore con un fucile."

28.
“Bang! Bang! Vieni fuori che ti sparo!”
Correva con le mani a fucile mirando a un nemico invisibile quando qualcuno lo chiamò.
”Basta giocare, forza, è ora di cena!”
“Uffa!” sbuffò il bambino “non ho fame”.
”Siediti qui, avanti, ti ho preparato le patatine fritte”
Sophie cercò Disney Channel e andò al frigorifero per prendere della maionese.
Edizione straordinaria, novità dal Reality Human Zoo, le forze speciali sono pronte ad intervenire. Sono già parecchie ore che Nicolas viene trattenuto in ostaggio da Mary la famosa attrazione.
Sophie sentì correrle un brivido lungo la schiena, cazzo, cazzo.
La paura le tolse il respiro, corse in soggiorno e strappò con mani tremanti il telecomando dalle mani del bambino.
“Quante volte ti ho detto che non devi mai cambiare canale?? Quante volte????” gridò.
Sudava freddo, l’agitazione le incattivì lo sguardo : “Portati la cena in camera tua!”
Il bambino cominciò a piangere e Sophie si sentì morire dentro.
“Scusami amore, zia è tanto stanca, ho avuto una brutta giornata. Ti raggiungo fra un attimo e giochiamo ai soldati. Va bene tesoro?”
Appena il bambino fu fuori riaccese il televisore, appena in tempo per vedere Mary con quel ragazzino e il cecchino….dio mio Mary….che stai facendo….Mary….
Pubblicità.
Sophie si coprì il volto con le mani e si accasciò sul divano. Che cosa doveva fare? Che cosa poteva fare? I pensieri le si aggrovigliavano nel cervello, non riusciva a pensare. Proteggerlo. Doveva proteggere il bambino.
Si riavviò i capelli, si alzò e indossò un sorriso. Bussò alla porta. "Hey Michael, campione!" "Dove sei?" "Fatti sotto!"
Il bambino sbucò da dietro la porta con gli occhi ancora rossi e le mani a fucile:”Bang!Bang!” “Morta”.

29.
Il cecchino vide Mary tirare il bambino vicino a se. Doveva essersi accorta di qualcosa. La vide parlare con Nicolas e vide il bambino indicare dalla sua parte. Lei lo girò istintivamente dritto verso la canna del suo fucile di precisione. Questo poteva essere un problema. Ma non necessariamente. Aveva centrato bersagli in condizioni peggiori. Aveva anche ucciso innocenti in condizioni simili, a dire il vero. Ma faceva parte dei rischi del suo mestiere. Lui era il migliore, ma nessuno era infallibile.
Intanto, dalla parte opposta rispetto alla sua postazione, un pazzo su una bmx piombò tra la folla che riuscì a stento ad aprirsi per fargli largo. Andava zigzagando, veloce, come se avesse perso il controllo, dritto verso la gabbia. Freni rotti, probabilmente. Sempre che quella bicicletta da bambino li avesse mai avuti, i freni.
Il cecchino non poteva vederlo. Il cecchino aveva Mary nel mirino. Il cecchino stava per fare il suo lavoro. Aspettava solo l’ordine definitivo.
Fu allora che Mary lasciò andare il bambino. Allargò le braccia e lo spinse via. Anche quando il bambino fu lontano tenne le braccia larghe, distese, all’altezza delle spalle.
In quel momento l’ordine arrivò. Distintamente, in cuffia, la parola fuoco gli bruciò nelle orecchie.
Il cecchino sparò.
E colpì in pieno il ciclista che, in quel preciso istante, aveva finito la sua corsa andando a sbattere contro la spessa gabbia di vetro.

30.
Quando Ryan sentì lo sparo aveva appena infilato la chiave nella pesante porta. Si irrigidì, lo sguardo fisso sull’avviso “Non aprire. Zona ad esposizione pubblica”. Fu tentato di tornare indietro. Nessuno avrebbe potuto fargliene una colpa. Nessuno sapeva che era lì.
“Cazzate”, si disse.
Si appoggiò alla porta accostando l’orecchio. Dentro c’era un silenzio irreale, quell’attimo di silenzio che segue una tragedia, appena prima dello scatenarsi del putiferio.
Era preoccupato per Nicolas, ma aveva la sensazione che tutto fosse a posto. Che non gli fosse successo nulla. Ne era certo.
Prese la bottiglia. La aprì e ne bevve un sorso. Solo un sorso.
Girò veloce la chiave nella pesante porta ed entrò.

31.
Buonasera, signore e signori, qui è Rufus Lloyd che vi parla dal Reality Human Zoo di Svellenberg.
Voi siete su Canale 9 e questa è Live, la trasmissione che va sulla notizia.
Ci sono delle evoluzioni clamorose nel caso dell’attrazione impazzita.
Poco fa un colpo di fucile indirizzato verso la gabbia ha ucciso un uomo che si trovava per sbaglio sulla traiettoria. Tutt’intorno a noi ormai è il caos assoluto.
Il portavoce delle squadre speciali ha escluso che il colpo sia partito da uno dei cecchini appostati sulle colline ai lati della gabbia.
“Nessuno ha dato l’ordine di sparare”, sono state le esatte parole del comandante in capo, generale Jack D. Ripper, raggiunto da un nostro inviato.
Ma… attenzione… attenzione…
Di nuovo quell’uomo! C’è di nuovo un terzo uomo nella gabbia! E sembra che abbia un documento con se! Ma…cosa sta facendo?L’uomo sta tenendo il documento bene in vista. Sembra che voglia essere sicuro che tutti vedano cosa ha in mano prima di…brucia!L’uomo a dato fuoco al documento. Guardate che ghigno, signori telespettatori. Si tratta sicuramente di un folle. O di un ubriacone.
A questo punto pensiamo sia il caso di tenere la linea per portarvi in diretta ulteriori spettacolari sviluppi. Regia? Regia? Ah, peccato. Mi dicono che c’è stato di nuovo un attentato in Italia. Si, d’accordo. Come volete.
A voi studio, richiederemo la linea non appena ci saranno novità.
Un saluto da Live, la trasmissione che va sulla notizia, Rufus Lloyd, Canale 9, Svellenburg.
Ma andate a cagare, pensò Rufus Lloyd, che razza di sfiga. ‘sti terroristi del cazzo m’han rovinato la diretta.

32.
Il sangue del ciclista formava una stella sulla gabbia di vetro.
Mary si mise a guardare quella faccia.
Aveva una specie di sorriso; sì, dietro a una barba di una settimana, quel viso aveva una specie di sorriso.
Di colpo il sangue di Mary si gelò.
In un lampo rivide il tatuaggio del batterista, la rossa, Diandra, si chiamava la rossa che li aveva presentati. Di colpo rivide un foglio, no, una di quelle buste marroncine di carta per le verdure, con quelle parole sopra.

E lo rivide e lo rivisse, l'inferno di brividi.

Era lui.

Si girò verso Nicolas.
"Chi sei? Tu non sei mio figlio".

Il bimbo sembrava l'unico a non avere paura; la faccia di Ryan era quella di un diavolo salito in terra, sadica e divertita, rossa del riflesso del fuoco.

Per terra, tra i fogli bruciacchiati, si leggeva ancora qualche lettera: "CONT".

Mary capì di essere libera.

33.
- Cazzo, e adesso cosa facciamo?

- Mmmmhh...

- Quello stronzo di contabile ci ha rovinati! Senza la nostra attrazione andremo a rotoli!

- Mmmmhh

- Mi piaci quando hai quella faccia. Hai in mente qualcosa.

- No, è che.

- Che?

- No, è che pensavo.

- ?

- No, niente, pensavo che non abbiamo mai avuto un bambino, nello zoo. Voglio dire, cioè, il pubblico è maturo, ormai. Per una scelta di impatto, dico. Oltretutto il soggetto è gia lì. Logisticamente sarebbe a bassissimo costo.

- Non so, sei sicuro? Mi pare un po' eccessivo. Anche per noi.

- Ma lasciare la gabbia vuota... In termini di immagine, cioè. Ci abbiamo lavorato, su questo progetto. Ci abbiamo creduto. E poi l’hai detto tu, senza Mary rischiamo la bancarotta.

- Sì, ma il contratto... credi che lo firmerebbe?

- Il contratto, il contratto. Non avrebbe comunque valore legale, firmato da un minorenne.

- In effetti. Ma i genitori? Non vorranno...

- Mah, lui, sai. L'avrebbe qui, vicino, proprio dove lavora. Lo vedrebbe molto più di prima. Solo da esser contento, avrebbe. E poi ci sono quelle irregolarità, nelle fatture... non gliele abbiamo mai fatte presente, ma...

- Hmm. Ma anche ammesso che lui non fosse un problema, la madre, lei non vorrà.

- La madre... E chi la conosce, quella? È una qualunque, una casalinga come milioni.... Nessuno sa chi sia, la sua faccia l'han già dimenticata. Chi vuoi che ci faccia caso?

- Beh...



- Quel cecchino, non è già andato a casa, vero?

34.
Ryan si prese qualche giorno per riordinare i propri pensieri. Erano state giornate difficili e le cose non erano andate proprio come si era immaginato. Comunque lui la sua parte l’aveva fatta. Aveva salvato il suo bambino. Adesso toccava alla polizia scoprire cosa era successo dopo. Finora parlavano tutti di un incidente, un colpo partito per sbaglio.
Ryan si era chiesto più volte cosa avesse provato in quel momento. Aveva cercato di analizzare i suoi sentimenti. Ma la realtà era molto più semplice. La realtà era che ormai la sua ex-moglie era solo un’estranea, come tutti gli altri. E di estranei ne muoiono tutti i giorni. Forse per quello non aveva provato nulla vedendola cadere.
Per Nicolas era stato diverso. Per lui era stato un vero shock. Vedere morire sua madre dopo tutto quello che aveva passato lo aveva trasformato. L’aveva guardata, la bocca spalancata, immobile. Poi, pian piano, si era avvicinato all’albero più alto e aveva cominciato ad arrampicarsi.
Ogni tentativo per farlo scendere era stato inutile. Anche Mary aveva provato a parlargli, prima di andarsene. Lui non l'aveva nemmeno guardata.
I responsabili dello Zoo avevano preso subito la palla al balzo. Lo avevano avvicinato con il contratto già pronto, solo da firmare. Con un tempismo che adesso a Ryan sembrava leggermente sospetto. Ma in quel momento non ci aveva fatto caso. Aveva guardato Nicholas appollaiato sul ramo più alto della gabbia. Aveva guardato la sua ex-moglie sdraiata in un lago di sangue. Aveva concordato che quella sarebbe stata la soluzione migliore. E aveva firmato.
“Beh, è ora di tornare al lavoro”, si disse Ryan.
Prese la giacca e il sacchetto della colazione per suo figlio e uscì.

35.
Mary aveva guidato per quasi cinquecento miglia, quattro caffè e due soste fisiologiche prima di riconoscere finalmente il quartiere dove era nata. Aveva ripercorso quella strada senza nessuna cartina, seguendo soltanto l’istinto, come un salmone che risale la corrente per tornare esattamente al punto dove tutto aveva avuto inizio, per dare origine a una nuova vita.
Rivedeva il suo quartiere dopo tanti anni ma non lo trovò molto cambiato.
Le case erano ancora basse e i giardini ben curati. Il parco dove andava tutti i pomeriggi si intravedeva quasi alla fine della strada.
La casa che era stata dei suoi genitori appena più avanti.
Si fermò a guardarla, con il leggero borbottio del motore acceso in sottofondo.
Il momento era arrivato. Tutto quello che era successo era successo soltanto per rendere possibile quell’istante.
Quando vide Sophie uscire con due grosse valige un brivido la attraversò andando ad atterrare sul suo piede destro. La macchina fece un paio di ruggiti ma nessuno se ne accorse. Sua sorella non sollevò nemmeno lo sguardo.
Michael uscì subito dopo.
Era bellissimo. Era cresciuto tanto ma, guardando meglio, Mary vide che stringeva al petto la ruspa che gli aveva regalato tanti anni fa.
Sorrise.
Di colpo si sentì esausta.
E, proprio come un salmone alla fine del suo viaggio, morì sorridendo, sapendo che una nuova vita avrebbe avuto inizio.


36.
Era passata una settimana, dalla liberazione di Mary dallo zoo. E da allora, Sophie non aveva fatto altro che guidare, fermandosi una sola notte in ogni motel dello stato. A Michael aveva raccontato che avrebbero fatto un bel viaggio, che lo avrebbe finalmente portato a vedere l'oceano, quell'oceano che lui, finora, aveva visto soltanto in fotografia. E per quel bimbo, la distesa blu sembrava un richiamo irresistibile. Non parlava d'altro. I suoi disegni avevano sempre per scenario delle grosse onde, persone che si tenevano per mano e guardavano l'orizzonte. Una vera ossessione.
Sophie aveva riempito alla rinfusa due grandi valigie, dicendo a suo nipote di raccogliere i suoi giochi preferiti e di portarli con sé. Mike ubbidì entusiasta, anche se con un fondo di stupore e di ansia. Percepiva la paura di Sophie. Come gli animali, anche i bambini sentono le vibrazioni intorno a loro. Lui, poi, era dotato di una intelligenza accesa e vivace. Ma era così stanco di restare sempre in casa, che non si fece ripetere due volte le direttive. Così stanco. I suoi pianti disperati non erano serviti a nulla. Non poteva uscire, mai. Non possedeva una bicicletta come quelli della sua età, non aveva mai giocato al parco con gli altri del quartiere, non era mai stato allo zoo, al cinema, non aveva fatto niente di niente. La grande finestra con vista sulla collina era poco più del buco nel muro di una prigione. E sognava l'oceano. Non aveva mai visto nulla, ma l'oceano gli appariva tutte le notti, immancabile, puntuale, poco dopo aver chiuso gli occhi. Non sapeva perché.
Sophie guidava, guidava, guidava, improvvisando il percorso giorno per giorno. Il paesaggio intorno a loro cambiava di continuo. Voleva allontanarsi il più possibile, la sua unica missione era salvare Mike. Il suo unico scopo. La promessa fatta a sua sorella qualche anno prima doveva essere mantenuta a qualunque costo. "Proteggi mio figlio da me. Qualunque cosa succeda. È tutto quello che ti chiedo. So che è molto, ma tu mi devi molto. Ti prego."

Poi, per caso, mentre mangiavano un hamburger in un squallido McDonald’s, gli cadde l’occhio sulla prima pagina di un vecchio giornale di una settimana prima. E capì che finalmente avrebbe potuto fermarsi.


Epilogo
Michael si sfilò il ricevitore dall’orecchio destro. Sentiva un fischio fastidioso alternarsi alla voce gracchiante della guida. Guardò sua moglie e i suoi figli, pochi passi avanti a lui. In tutto il gruppo di visitatori sembrava che nessuno avesse problemi con l’auricolare. Camminavano attenti voltandosi a sinistra o a destra simultaneamente, a seconda delle attrazioni descritte in quel momento.
Si fermò per guardare l’apparecchio. Sembrava integro. Lo scosse un po’ e lo rimise al suo posto. Adesso non sentiva più neanche la voce della guida. Quando risollevò lo sguardo il gruppo era lontano.
“Poco male, li raggiungerò all’uscita”, pensò.
Vide una panchina a pochi passi da lui.
Si guardò intorno.
In basso, dentro alle classiche gabbie di plexiglas, vide un signore che aveva più o meno la sua età fissarlo intensamente.
“Chissà perché il percorso non passa da lì”, si chiese Michael.
Ormai aveva una certa età ma era riuscito a proteggere un minimo di quella curiosità che non aveva potuto sfogare da bambino.
Scese lentamente, avvicinandosi alla targhetta identificativa per capire che tipo di attrazione fosse. Quando fu abbastanza vicino da riuscire a leggerla capì il motivo di tanta indifferenza da parte del percorso ufficiale. Aveva davanti un’attrazione ormai in disuso, inutile. Una di quelle che vengono tenute in gabbia su richiesta volontaria.
Il primo bambino del Reality Human Zoo di Svellenburg era cresciuto e ormai non interessava più a nessuno.

Nicolas appoggiò la mano alla barriera di plexiglas.
Michael fece altrettanto, dalla sua parte.

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