mercoledì 25 gennaio 2012

giovedì, 07 settembre 2006

HO DECISO: IO PARTO

Il titolo lo troveremo. La storia è questa.
Grosso tira il rigore decisivo. L'Italia vince i mondiali. Andrea, trentacinque anni, una bella carriera in corso in una bella e ricca città dell'Emilia, sta guardando la partita con la sua compagna, Allegra, e due coppie di amici.
Escono per andare a festeggiare; Allegra resta a casa.
Andrea torna a casa alle due di notte. Silenzio.
All'ingresso, sullo specchio- attaccapanni, un post-it. "Sono andata via. Non cercarmi"
Sembra sparita ogni traccia di Allegra.
E Andrea sul letto, da solo, ripensa a quel faditico mese dall'11 giugno all'11 luglio, cercando i segnali, i motivi, le crepe.

§1. Italia-Francia

Grosso ha uno sguardo che non capisco. Non capisco cioè se è davvero freddo e concentrato o se non si è reso conto di cosa sta facendo. Passa la lingua sulle labbra, come se invece di battere un rigore si dovesse mettere a cantare.
Stiamo zitti; non siamo certo l'unica casa in cui siamo tutti mano nella mano. Io e Allegra, ovviamente, ma anche Filippo e Angela, Maurizio e Rossella.
Tiro.
Gol.
Urliamo come pazzi. Filippo esce sul balcone e urla un vaffanculo enorme quanto la notte.
Verso la periferia già si vedono i fuochi d'artificio. Abbraccio Allegra e lei si stringe a me, ci urliamo qualcosa in faccia l'un l'altro, Campioni del mondo. Ci baciamo che sembra Capodanno, un attimo prima che mettano il Disco samba.

Maurizio prepara i mojito; ce l'aveva promesso. Ce li passiamo aspettando che Cannavaro alzi quella cavolo di coppa.
Alzata.
"Usciamo" urlo.
Allegra mi guarda con l'aria un po' stanca; è da stamattina che me lo dice che è stanca. "Vai tu. Io vado a dormire. E' da stamattina che non mi sento tanto bene".

Un altro bacio, un sorriso, un altro urlo Campioni e usciamo; il corso sta a mezzo chilometro e ce la facciamo a piedi.
Il casino è fantastico e tremendo. Vedo per strada persone che pensavo morte; abbraccio un compagno di classe delle medie che peserà 150 chili ed è sudato come un maiale.
Alle due, rintontito torno a casa.
Dagli altri appartamenti si sente ancora casino.
Trovo le chiavi e apro. E' tutto buio. Allegra dorme.
Non accendo la luce per non svegliarla; vado nel mio bagno, piscio e non tiro l'acqua, per non svegliarla.
Vado a letto; il percorso al buio dal bagno al letto lo so fare perfettamente, basta sfiorare coll'indice della mano i muri, gli interruttori, le porte.
Mi tolgo i vestiti al buio e li lancio verso la poltrona. In mutande mi butto sul letto; allungo la mano verso Allegra.
Allegra non c'è. La chiamo.
Non risponde.
Un brivido mi scende lungo la schiena. Accendo la luce. Comincio a camminare velocemente, poi a correre, poi mi viene da urlare, ma resto pietrificato.
Sullo specchio, all'ingresso, c'è un post-it. E' viola.
La scrittura è bella, è tonda. E' la scrittura di Allegra.

Con una Tratto-pen blu, che ha appoggiato vicino alle chiavi del motorino, ha scritto cinque semplici parole: "Sono andata via. Non cercarmi"

Ho capito. Siete timidi

§ 2. Italia - Francia

Il primo istinto è chiamarla sul cellulare. Il suo nome sulla rubrica è il primo; il numero l'ho memorizzato con A, la lettera A e basta.
E lei ha fatto lo stesso sul suo cellulare.
Mentre cerco il cellulare dentro al marsupio mi vengono in mente tutte le volte che abbiamo passato le ore a pensare a tutti i nomi con la A avremmo potuto dare ai nostri figli.
Mi viene in mente il suo viso, la sua bocca aperta, spalancata dalle risate, quando le ho detto che se fosse nato maschio, e distruttore come me, il nome perfetto sarebbe stato Attila.

Premo il tasto della chiamata.
Libero.
In bagno, uno squillo, la sua suoneria, quella cavolo di canzone della Tim, col video col bambino che gira l'America in bici.

L'ha lasciato in bagno il telefonino.
Sulla lavatrice.
Le lacrime mi arrivano alla velocità della luce quando accanto al telefonino vedo il bracciale di Swaroski che le avevo regalato al primo anniversario della convivenza, quello che non si toglieva nemmeno per fare la doccia.

Posso chiamare qualcuno.
Poi, penso, sono le tre di notte. Sì ma è scappata.
Poi mi metto a pensare.
Corro in camera da letto. L'armadio a specchi. Ci abbiamo messo una giornata intera per sceglierlo. Avevamo deciso scomparto per scomparto. Questo è mio, questo è tuo.
I suoi vestiti.
Non ci sono.
I suoi cassetti.
Vuoti.
Non c'è niente.
Il comodino. Vuoto. Anche le medicine, l'Aulin e il VivinC, se le è portate via. Il flaconcino con le gocce di valeriana che stava sempre vicino alla lampada. Non c'è.

Si è portata via persino i vestiti invernali, i piumini, i cappotti.
Rassegnato guardo nella scarpiera.
Non ha lasciato neanche le ciabatte per la piscina.
Niente.
E' andata via, non c'è che dire. Se ne è andata.

Mi siedo sul letto, dalla mia parte, così dò le spalle al suo cuscino e a quella pesantissima, enorme assenza.

3. Italia - Francia

Mi sveglio sudato e con la bocca impastata. La testa pulsa. Faccio mente locale e ricordo la vittoria, la festa e Allegra. Allegra. Accendo la luce e comincio a battere gli occhi. La cerco ma, e' ovvio, lei non c'e'. Mi sono addormentato, com'e' stato possibile? E' ancora notte... Che cavolo, che ore sono? Ha portato via anche la radiosveglia? No, eccola: le 3.35. Non voglio dormire e mi trascino in cucina, riempio la moka e mi siedo a guardarla aspettando il caffe'. Perche'? Perche' e' scappata?
Improvvisamente una riflessione mi colpisce: non e' scappata.
Dire che e' scappata presuppone una decisione improvvisa ma lei, metodicamente, ha svuotato la casa di tutte le sue cose e di certo non ha fatto tutto stasera o, cazzo, non da sola! Da quanto ci pensava? E io come ho fatto a non accorgermene?
Non cercarmi.
Cazzo vuol dire non cercarmi?
La donna cammina sicura nel sottrerraneo nonostante le luci al neon scarseggino. I suoi passi risuonano gravi e si mescolano al rumore delle macchine che passano al piano di sopra. Livello 3, settore D, box 14. E’ da un paio d’anni che non ci mette piede, la chiave fatica a entrare ma poi con uno scatto metallico si apre. Allegra solleva la saracinesca quel tanto che basta a farla passare e a trascinare dentro l’enorme zaino che si è tolta dalle spalle. L’interruttore della luce a destra e la saracinesca da abbassare sembrano un unico gesto fluido. Per qualche istante, il tempo che la luce si accenda, Allegra resta al buio, a respirare quel buio.
Il baule è lì davanti a lei, aperto, vuoto ancora. Allegra ci infila veloce lo zaino abbassa di scatto il coperchio. Dalla tasca estrae un pennarellone rosso e sull’etichetta di carta attaccata sopra al baule scrive con la sua bella calligrafia tonda a grandi caratteri A N D R E A. Spinge il baule contro una parete e ne porta un altro, leggero, vuoto al centro della stanza. Prima di spegnere la luce dà un occhiata alla stanza. Accanto al baule “Andrea”, ce ne sono altri tre: Marco, Francesco e Riccardo.
La saracinesca che si srotola segna un cambio d’umore, ora Allegra può permettersi di respirare a pieni polmoni, di sorridere e di sentirsi più leggera. Imbocca l’uscita a passo veloce.

§4 Non cercarmi



Non cercarmi.

Come se lo vedessi scritto sullo specchio del bagno, sull’anta dell’armadio saccheggiato, in questo groviglio sub-umano del letto sfatto…
Cazzo vuol dire non cercarmi?

Che una può andarsene all’improvviso, risucchiare la vita dell’altro, spolpargliela senza preavviso, neppure un parliamone mi dispiace: una serranda chiusa di botto sui denti, no sulle unghie, anzi…

Cazzo vuol dire non cercarmi?

Che una decide la sua vita e per decidere ghigliottina?

Furba, lei: una bella frasetta a epigrafe. Responsabilità di spiegare, zero.

Come se la cosa, poi, stesse tutta nel non cercare.

Certo, mica mi metterò a fare un porta a porta , il chi l’ha visto per strade e negozi…

Non sguinzaglierò i cani, non pagherò la veggente della casa di fronte, lettura mano&piedi euro 25, non salirò sul traliccio all’incrocio per la tangenziale né urlerò il suo nome lungo la rampa delle scale, Stazione centrale.

E questo significherà non cercarla?

Posso starmene seduto qui, su un letto vuoto, farmi ‘na birra gelata e aprirmi una scatoletta.

Ma già la sto cercando, con il vomito di questa ansia che mi apre lo stomaco a cerniera.

La cerco nelle crepe del muro e della nostra storia, nelle foto mentali delle ultime giornate. Da quando si sono scolorite? Da quando si son fatte pallide? Come pallida era lei, la sera che entrò strana, l’8 giugno. In ritardo, uno dei suoi rarissimi ritardi….

Un ciao Andrea veloce e sbrigativo, uno sparire nello studio, con la testa sepolta nel pc., porta chiusa alle spalle, tipo macigno.

Come non ricordarlo quell’8 di giugno: il primo no, stasera non esco; vai pure tu….



§5. Italia - Ghana

"Diavolo se lo cantano l'inno." Allegra ha comprato un mucchio di pizza.
Filippo sta già in piedi vicino al tavolo: è un caso patologico, non riesce a sedersi quando gioca l'Italia. Angela e Allegra hanno cercato di apparecchiare la tavola come se fosse una sera normale.

Io ho un boccale da un litro in mano stracolmo di birra; l'ho preso l'anno scorso sulla Romantische strasse e bere birra a fiumi mi dà l'idea di stare in Germania.

Ecco, questo mi ricordo di Italia - Ghana, i gol me li ricordo. E ora, su questo letto, accanto a questa assenza, mi ricordo anche il venerdì sera . Il 9 giugno.
Allegra lavora, o lavorava, non lo so più, in una cooperativa che ha l'appalto dell'assistenza domiciliare in un comune qui vicino. Alle cinque stacca e alle cinque e tre quarti, le sei al massimo è a casa. Non fa la spesa; odia i supermercati e così la spesa la faccio io. "Mi piace stare a casa. A casa nostra" lo diceva spesso e ora quest'altra frase banale mi dà un groppo in gola.

E' arrivata quasi alle sette. Sì, ripensandoci, saranno state le sette.
Filippo e Angela ci avevano invitato fuori, alla trattoria vicino al fiume, per l'abilitazione di Angela. Farmacista. Per scherzare era venuta col camice con lo stemmino dell'Ordine.
Che diavolo di particolari mi vengono in mente.
Ero tornato a casa, senza pensare più alla testa nel pc, alla porta chiusa. Eravamo venti persone in trattoria e a mezzanotte ero a casa.
Allegra dormiva?
Questo non me lo ricordo. Però il lunedì, il 12, si era scusata con Angela e, ora ricordo, se ne erano andate in cucina forse cinque minuti ... sì, erano tornate all'urlo per il gol di Pirlo.
Mi era sembrato che avesse gli occhi rossi, Allegra, ma i suoi mal di testa storici, quelli da Aulin a fiumi, la facevano lacrimare e quindi...

Angela... sa qualcosa Angela. Le aveva detto qualcosa. Ma che cazzo sono ancora le quattro. Quando arriva un'ora decente; magari non andrò a Chi l'ha visto, o alla Polizia, ma forse Angela mi potrà spiegare che si erano dette in cucina, quella sera.

Iaquinta è solo. Goooool.
Abbraccio Filippo; Allegra e Angela sono sul balcone. Il calcio non le è mai piaciuto, certo. La partita finisce. Filippo e Angela se ne vanno. Qualcuno strombazza; io mi vedo qualche sintesi, qualche intervista. Allegra è andata a lavarsi i denti appena Filippo e Angela avevano messo piede in ascensore.
Ne avevamo parlato. Ci sembrava una cosa da coppia, come dire... , moderna.
L'accordo era che se uno dei due voleva andare a letto e l'altro aveva da fare, finire una relazione per la cooperativa, finire di vedere un film, farsi una partita alla Play station, beh... non era obbligatorio andare tutti e due a letto.
Però mi ricordo che appena sono arrivato a letto, Allegra mi ha stretto la mano, forte. Siamo rimasti così mano nella mano, fino alla mattina.

6. Pasadena

Non dovrebbe esserci un letto così, la notte successiva al trionfo dell'Italia ai campionati del mondo. Questo letto così spento, silenzioso. Non ci dovrebbe essere una casa così, senza luci accese o gente ubriaca in giro con i pantaloni calati fino alle caviglie. L'ultima volta avevo una cosa come ventitré anni: la vita era diversa, Allegra studiava da qualche parte le cose che l'avrebbero fatta diventare la donna che è e io stesso non ne sapevo niente di lei o del modo che ha la sua treccia di oscillare al centro esatto della schiena ogni volta che cammina. Era Italia-Brasile a Pasadena, praticamente un bollitore a cielo aperto: Donadoni sembrava già il vecchio che sarebbe diventato sulla panchina del Livorno e io dov'ero? Dov'erano tutti i problemi che mi avrebbero raggiunto? Dove stava Grosso? Dove stava Materazzi? Dov'è Allegra?

Allegra è sul dischetto di rigore: sta lì con i suoi tacchi bassi e sta prendendo la rincorsa. Le dico cazzo Allegra, metti qualche volta un paio di scarpe più femminili, seducenti. Lo sai quanto odio quei tacchi a rocchetto. Ma lei niente, dice che si sente già troppo alta così e poi se tutti la guardano le viene quell'imbarazzo che le impedisce i movimenti. Ma, dico io, sei al centro dello stadio di Berlino, stai per battere il rigore decisivo: è impossibile che non ti guardino. Ti guarderebbero anche se indossassi il mantello di Harry Potter, che ti credi? Allora si fa avanti Roberto Baggio, il che è incredibile perché Roberto Baggio ha già smesso da almeno tre anni col pallone e di quel vecchio calcio che inventò gli rimangono solo cicatrici sulle ginocchia e un paio di costole incrinate. Però è lui: è sudato, ha il codino e quella fascia elastica blu dietro il quadricipite destro. Le fa: levati Allegra, che ci penso io. Al che a me viene da urlare no, no, nooooo. Ma proprio non ci riesco: non riesco ad aprire la bocca dalla mia posizione privilegiata ed è per questo che capisco che è un sogno. Nei sogni va così: uno prova a parlare e non ci riesce. Oppure prova a muoversi e, niente, resta immobile come un gatto abbagliato. La consapevolezza di trovarmi in un sogno avvolge tutto quanto, anche la sparizione di Allegra: mi convinco che faccia parte del sogno pure quello e allora allungo un braccio nel tentativo di toccarla e in effetti la tocco. Allegra è vicina a me, anche lei è sudata come Baggio e in un orecchio mi bisbiglia meno male, avevo una paura. Ma paura di che, le domando io, e sono felice di scoprire che almeno questo riesco a dirlo. Paura del rigore, mi risponde Allegra, quando ormai già non ci sto pensando più, lo sai che le responsabilità non me le riesco mai a prendere. Perciò rialzo lo sguardo sul mondo, sull'orizzonte, su non so cosa, perché è pazzesca questa situazione: io che, chissà come, riesco a vedere tutto. Ma non c'è orizzonte, non c'è mondo: c'è solo Roberto Baggio che guarda l'arbitro con la casacca viola e l'arbitro ha veramente il fischietto in bocca, al punto che io vorrei lanciarmi verso di lui - verso l'arbitro - e con un pugno farglielo ingoiare quel fischietto. Ma non posso. Non ci riesco: ecco, sono di nuovo immobilizzato. Gli vorrei dire no, Roberto, lo sbaglierai e tutto andrà a rotoli. Stai sicuro che è con quel pallone finito alto sopra la traversa che un sacco di cose hanno cominciato a girare per il verso sbagliato: il pensionamento di Pizzul, il tuo declino, l'11 settembre, il fondamentalismo islamico, Tiziano Ferro. Vorrei - che so - tirarlo per il codino, prendermi IO la responsabilità del tiro, visto che Allegra glissa sempre davanti alle cose importanti - fin da quando le domandai di sposarla, sotto la Basilica di San Francesco, ad Assisi, tipo una vita fa - indossare i suoi calzoncini col 10 e sbam, tirarla rasoterra quella maledetta palla. E far girare tutto diversamente. Ma Baggio non ne vuole sapere, non capisce, ha già le mani sui fianchi e pure se io sono là e lo posso vedere, contemporaneamente sono a casa, nel salotto di Filippo (anche lui ha il viso più liscio e l'aria di chi ancora non ha mai tirato pugni alle ante degli armadi) con gli occhi spalancati, nell'orgia devastante della seconda finale mondiale della nostra vita (ma la prima volta eravamo più che altro impegnati con la pubertà).

No, no, nooooo, gli vorrei dire tirandogli schiaffi sul petto. Ma l'abbraccio di Allegra mi tiene, ecco adesso ho capito cos'è che mi impedisce di muovermi, ed è il suo bacio - un bacio che improvvisamente mi sento stampato sulla bocca - che non mi rende possibile la parola. Perciò al diavolo Baggio, al diavolo Romario e Bebeto, al diavolo Pasadena, al diavolo Pizzul e al diavolo pure la coppa del Mondo. Bacio Allegra, che è l'amore della mia vita, pure se quel giorno ad Assisi non fece altro che guardarsi la punta dei mocassini. La bacio finché non mi trovo sveglio, da solo, nel mio letto, con in bocca il sapore salato di un pianto e le corde vocali tumefatte dall'urlo mondiale. "Allegra", dico alla stanza più triste d'Italia e mi ricordo tutto. Sono le sette di mattina del 12 luglio 2006 e quel pallone scagliato da Baggio ha forse finalmente trovato un vetro da infrangere: mi rizzo sul materasso e, poggiato sul gomito, mi accorgo che è giorno.

Nomen omen, pensa la donna e sorride. Allegra si sente, quella mattina. Allegra si è sforzata di essere per tener fede alla promessa del nome. Non ci è riuscita sempre. Non sempre le è bastato. Stamane, invece, che l'allegria viene fuori dall'aria che respira, la donna fantastica un altro nome per un differente destino.
Sorride al suo riflesso dentro lo specchio a parete del parrucchiere, poi sorride ancora ad una delle ragazze che le porge un vassoio con dei bicchierini di caffé.
"Grazie, è già zuccherato vero?"
Con Andrea non prendeva mai il caffè. Soffriva di gastrite. Con Andrea preferiva il tè. Senza zucchero e con un goccio di latte.
Finito il suo caffè la donna ne assapora ancora per qualche attimo l' aroma dolce e intenso sulla punta della lingua. Nel grande salone pieno di luci e specchi nessuno fa caso quando lei toglie gli occhiali dal naso e li lascia cadere, insieme al bicchierino monouso, nel cestino dei rifiuti, tra fazzoletti di carta e mucchi di capelli.
Quello lì tutto in bianco che sembra un gigolò sudamericano, con tatuaggio di ordinanza, quello lì deve essere il capo, pensa la donna. Quando le si avvicina lei scioglie rapida la lunga treccia biondo cenere, e nello stesso momento le viene in mente che potrebbe essere la volta in cui cominciare a fumare.
"Allora, come li facciamo?" domanda lui.
"Corti e neri. Li facciamo corti e neri".
L'orario decente non è ancora arrivato. Non fa niente. Se Angela sa qualcosa si aspetterà una mia chiamata; e, se sa qualcosa, si merita di essere svegliata. Se non lo sa? Beh, se non lo sa se lo merita lo stesso; in tutti questi anni, tutto questo tempo, avrebbe dovuto saperlo. Chi la conosce da tanto tempo avrebbe dovuto dirmelo.
Io?
Io non conto. La vicinanza è, sempre, inversamente proporzionale alla conoscenza. Occorre una certa distanza per conoscere davvero qualcuno; avete mai provato a leggere un libro appiccicandovi alle pagine?
Non è colpa mia.
E forse non è nemmeno colpa sua.
Non c’è nessuno, nessuno, che ci sia più vicino di noi stessi.

"Guarda, se proprio devo essere sincera, non mi è nemmeno mai piaciuta tanto", ha appena finito di dire Angela con la bocca ancora in parte impastata dal brusco risveglio, "non del tutto, almeno".
Siamo al telefono ormai da mezz'ora ma questo non me l'aspettavo. Ero partito con una aggressività decisa, pensando di trovarmi di fronte ad una complice, e mi ritrovo al fianco una compassionevole alleata. La cosa fino a ieri non mi avrebbe convinto ma stasera ho bisogno di tenere la guardia bassa. Sono completamente in balia degli avversari, alle corde dopo un colpo che mi ha quasi messo ko.
Prima, dopo aver mostrato uno stupore apparentemente reale, ha avuto il coraggio di dirmi che quella sera, in cucina, Angela gli aveva chiesto la ricetta dei tortellini. Proprio lei, che sarebbe stata la candidata ideale per un posto di ricerca e sviluppo alla Quattro salti in padella. Figuriamoci.
Ma stasera sono disposto a credere a chiunque si dimostri quanto meno disposto ad ascoltarmi. Sono il sogno di ogni politico, ho un cartello con scritto Offresi, seminuovo, disperazione inclusa proprio sullo sterno.
E ho l’impressione che tutti lo sappiano.
“Come mai?”, le chiedo sinceramente interessato.
“Ma, non so. Non so davvero come spiegartelo. È che tutti noi, dopo tanti anni, siamo diventati così maturi. Lei no, lei aveva solo una parvenza di maturità. Ma se la guardavi bene ti accorgevi che si stava sforzando. Aveva qualche atteggiamento, ogni tanto, anche se sempre più di rado, un atteggiamento che ricordava l’intemperanza della nostra gioventù. Ecco, in lei, qualche volta, si intravedeva ancora quello che noi abbiamo nascosto così bene."
“Vuoi dire che noi abbiamo perso la nostra intemperanza?”
“Perché, non lo sai? Tutta. L’abbiamo persa tutta”.
“E questo era un motivo sufficiente a non fartela piacere?”
“Sembra di sì. Era un motivo sufficiente a farmi provare invidia. Ed è esattamente la stessa cosa”.

talia - Stati Uniti

Gilardino sviolina. Zaccardo inciampa. De Rossi sgomita. La pizzeria è piena di gente incazzata nera. L'impotenza dell'Italia ricorda gli europei del 2004. Quando annullano il gol agli Stati Uniti mi sento come uno che ha rubato in un autogrill.

Allegra è fuori; Angela voleva fumarsi una sigaretta, una di quelle sigarette più fine, con il pacchetto elegante.

Filippo si è fatto birra e gassosa; è il suo modo per far credere che nonostante la villa fuori città e quella a Cervia e quella a Cortina e la multiproprietà a Nizza e la villa nel campo da golf in Costarica, in fondo suo nonno aveva una rivendita di olio e suo padre aveva sudato per diventare notaio.

Torniamo a casa. "Non ti sembra di aver buttato un sabato sera?" mi dice Allegra.
"Vabbè la partita ... i Mondiali una volta ogni 4 anni" ribatto.
"No, non è questo. E' che è troppo tempo che i sabato sera sembrano obbligatori. Non dico che sto male con Filippo e Angela o in uno dei party che dà qualche tuo collega. E' che io e te..."
"Io e te cosa?"
Allegra sembra concentrarsi. "Andiamo al mare? A Rimini, adesso"
"E' l'una e mezza, ci vuole un'ora"
La guardo, ha ragione, un'ora che sarà?

Riscendiamo e riprendiamo la mia Cherokee, abbassiamo i finestrini e ci facciamo Parma - Rimini a finestrini giù. Alle tre meno un quarto siamo sulla spiaggia di Rimini.
Ci sono coppiette, nascoste tra le cabine degli stabilimenti e in riva al mare, ma anche comitive di ragazzini già mezzi ubriachi.
Allegra si toglie le scarpe; ha dei pantaloni corti di jeans fino al ginocchio. Non le piace prendere il sole; non le piacciono le lampade e le sue caviglie sono bianche come vuole la luna.
Si mette a correre sul bagnasciuga.
Io le corro appresso, coi pantaloni rossi tirati su al ginocchio.
"Mi sembri il cavallo della Vidal" ride, a bocca aperta, quasi sguaiatamente.
Allegra non ha mai riso così.

giovedì, 14 settembre 2006

E poi è la volta dell’estetista, un pacchetto completo, depilazione, massaggio e lampada, “voglio un colore diverso, dorato” esclama alla ragazza che l’accoglie e pensa, “e nuovi vestiti a fiori”.
Adesso adora il viola, e girerà tutti i negozi fino a trovare un vestito viola a fiori che svolazzi al primo alito di vento, che la faccia sentire una fata o una strega, chi sa.
Ha camminato a lungo quella notte, molto più che le altre volte e la città era tutta piena di luci e di colori, di suoni assordanti, di voci rauche. Ad un certo punto le è anche venuto in mente che avrebbe potuto incontrarli, così per caso, Andrea e gli altri due, abbracciati, inebriati e vivi per una di quelle strade. L’avrebbero trasportata con loro, avrebbero rovinato tutto, ma non era accaduto, e l’alba era sorta viola all’orizzonte segnando l’inizio di un'ennesima vita.
Un orizzonte libero, sgombro da tutto, da Andrea, dalla casa, dal lavoro, da Allegra così com’era. Da Allegra che sapeva di rancido, da Allegra che doveva morire e risorgere nuova come sempre, ancora una volta.
Quanto erano stati semplici gli ultimi giorni, dopo settimane passate a resistere a contrastare tutto anche la voce dell’anima, dopo momenti assurdi in cui era arrivata a dirsi la faccio finita, si era arresa finalmente. E tutto era stato nuovamente calmo.
Un pacco la volta, prima i vestiti invernali, cappotti e cappelli che non avrebbe mai più indossato, poi gli oggetti più strani, collezionati in una vita giunta alla fine. Aveva pregato che l’Italia vincesse, aveva pregato che uscissero tutti, era certa che Andrea non avrebbe capito, un bacio sulla porta, un bacio e tutto sarebbe stato nuovo.

(scritto da Onecat e solo postato da stefanopz)

sabato, 16 settembre 2006

Italia - Repubblica Ceca

Dal primo gennaio sono direttore dei Progetti speciali qui alla Salumi Barzani. Sulle prime pensavo che spostarmi dalle Risorse umane ai Progetti speciali fosse un modo elegante per dirmi che non contavo un cazzo.
Invece Barzani, il vecchio, mi ha fatto chiamare e mi ha detto "Andrea, dobbiamo raddoppiare lo stabilimento. I consulenti della ... quelli americani hanno detto che la cosa migliore è fare uno staff apposito e di mettertici a capo, perché sei uno giusto. Pigliati cinque tra impiegati e capireparto e fallo, lo stabilimento".
Pilade Barzani ha qualcosa tra gli 80 e i 90 anni e, ovviamente, ha cominciato facendo il garzone da un macellaio: è l'incarnazione dell'intuito, dell'uomo che si è fatto da sé. Persino noi dirigenti che vestiamo alla milanese e che usiamo tutti i nostri briefing, executive e default ne abbiamo un rispetto quasi mistico.

E' per questo rispetto che il 22 giugno la riunione con l'architettone, uno di quelli che scrive sulle riviste, finisce alle quattro e mezza e io non mi incazzo più di tanto.

Arrivo a casa che stiamo uno a zero.

Sono le quattro e tre quarti e Allegra dovrebbe essere ancora al lavoro. Invece è a casa, la testa nel PC. Quando entro nella stanza, quella dove sta il PC, alza un attimo gli occhi, poi si rimette a scrivere. Posta elettronica, immagino.

Ha una cugina che vive a Los Angeles, con cui ha passato tutte le estati da adolescente, e si tengono in contatto così.
Del resto io non ho segreti per lei, né lei per me. Io non ho nemmeno la password alla posta elettronica, ma del resto oltre a offerte per aumentare il volume dello sperma e per dei Rolex a 10 Euro non è che mi arrivi gran roba.

"Sei tornato prima?" mi chiede dopo un paio di minuti. Ha la voce un po' rotta, a ripensarci adesso.
"C'è la partita dell'Italia"
"Ah benissimo, allora arrivo"

In quel momento squilla il telefono.
Vado a rispondere.
Dall'altra parte riattaccano. Lo sfanculo mentalmente, perché Nedved ha tirato un'altra bordata e Buffon gli sta prendendo tutto.

Sì, ora ricordo. Ricordo il segnale di un sms sul cellulare di Allegra.

Quando Allegra arriva a sedersi accanto a me sul divano sembra pallida, sembra sudata.

Italia - Australia

Siamo schierati sul divano, da destra a sinistra.
Angela Filippo Allegra e io.
Filippo dopo un paio di minuti si alza e si piazza in piedi vicino al tavolo.
La partita va come va, noiosa e nervosa.
Rosso per Materazzi. Ovvio, era impossibile che ne facesse due di fila fatte bene.

Ultimo minuto, anzi oltre.
Grosso si avventura in area. Finisce più o meno a terra. Rigore.
Pupone. Gol.
Urlo liberatorio immane.

Sono quasi le sette e sono in un bagno di sudore. Mi faccio una doccia. Filippo e Angela vanno via.
Esco dalla doccia e, da fuori alla porta, Angela mi fa: "Vado a prendere qualcosa per cena. Torno tra una mezz'oretta".
Alle sette e tre quarti arriva Maurizio.
Ci siamo laureati insieme e lui è il responsabile amministrativo della Salumi Barzani: a volte ci vantiamo di essere gli unici due dirigenti sotto i quaranta.
A volte, come la sera del 21 giugno, stiamo a guardarci i budget della costruzione del nuovo stabilimento cercando dove poter tagliare costi in maniera selvaggia.

Lavoriamo col suo pc in salone.
Alle otto e venti torna Allegra. Ci saluta.
Io e Maurizio alziamo a malapena la testa dal pc.

Cazzo, che cieco che sono.
Allegra non aveva in mano nessuna busta della spesa.

E’ un buon risultato quello che Allegra osserva riflesso nello specchio del camerino di prova. Un bel tipo aggressivo con l’aria sicura sicura di sé quella donna dal caschetto corvino che la fissa negli occhi attraverso lo specchio. Anche l’abbigliamento aiuta: i jeans attillati, gli stivaloni texani a punta. Ora è pronta, la trasformazione è avvenuta all’esterno e pian piano si trasferirà all’interno, e l’Allegra dolce e remissiva lascerà il posto a un’altra donna volitiva, decisa, fredda. Anche quello stupido nome andrà cambiato, non le si addice di certo più, ma c’è tempo, per quello c’è tempo, anzi per tutto c’è tempo. Non rimane che attendere, non resta che aspettare che si facciano vivi, che le facciano avere le nuove consegne. E’ il tempo che preferisce questo, questo vuoto fra un incarico e l’altro. Questa pausa che la lascia libera di non essere nulla, di non interpretare una parte. Finalmente rilassata, finalmente se stessa.

- Scusami se te lo chiedo ma sei sicuro che non ci fosse un altro? Non ti sei mai accorto di niente di strano? Tipo messaggi, telefonate....capito no?
Filippo è un amico. Mi ha invitato a pranzo mandando a monte un paio di appuntamenti. Che io invece avevo chiamato al lavoro e avevo detto che stavo male, una forma virale di quelle terribili, praticamente non mi reggevo in piedi e il vecchio ci mandasse qualcun altro a fare anticamera dall'architetto o in alternativa si fottesse una volta buona lui e i salumi . E insomma neanche mi andava di uscire di casa ma poi Filippo ha insistito. Dice parliamone che ti fa bene. Forse è vero. Che se non ne parlo con nessuno rischia di sembrarmi tutto frutto della mia immaginazione compreso tutto il tempo con Allegra, compresa Allegra stessa.
- Sai come succede, rispondo versandomi altro vino, non è che normalmente ci fai caso a certe cose. Cioè io neanche mi ricordo bene. Però se ci fosse stato un segnale , uno qualunque, uno anche piccolo che le cose andavano male me lo ricorderei. Tipo un litigio, un malumore, un' assenza, un'irrequietezza sua ...invece niente. Devo pensare di essere stato cieco in qualche modo.
- E' che è difficile cogliere certi segnali nella quotidianità forse...
- Che poi la cosa che mi secca è che sostanzialmente ora mi sento un coglione. E dovrei avercela con lei, no? Perché non si fa così: di cosa hai paura eh? Perché te la fili così , senza dirmi niente? non siamo forse adulti, non si può parlare come abbiamo sempre fatto? Di cosa hai paura? Che faccio scenate, che ti chiudo dentro casa, che do la testa contro il muro che do la tua testa contro il muro, eh? Di cosa hai paura? Non sai forse come sono fatto dopo tutto questo tempo? Invece, guarda, più ci penso e più non riesco ad avercela con lei.
- E' evidente che per lei è stato più comodo comportarsi così, Andrea.
- Cioè mi stai dicendo che devo rassegnarmi a pensare di aver vissuto con una stronza.
- Adesso è presto ma vedrai che col tempo....
- Ecco qui: adesso anche tu come Angela te ne vieni fuori dopo tutto sto tempo a dirmi che non ti è mai piaciuta.
- Non è questo Andrea ma...
Filippo esita fissando il vuoto con tutta l' insopportabile ingenuità dei suoi occhi chiari. Sento salirmi come una rabbia dentro. Come una voglia di spaccare qualcosa, qualsiasi cosa. Alzo la voce.
- Vuoi dirmi anche tu la stronzata dell'intemperanza giovanile? Farmi qualche altra analisi psicologica del cazzo rigorosamente a posteriori, non sia mai dovesse risultare utile a qualcosa tranne a dire che, in fondo, avevate capito tutto tu e quell'altra intelligentona là di Angela?
- Senti, Andrea, ma pure tu però... !
- Pure io cosa?
Sto praticamente urlando. Al tavolo a fianco una coppia si volta a guardarci.
- E va bene ti dico come l'ho sempre vista la faccenda tra te e Allegra.
- E sentiamo.
- Conosci questa tipa in una chat line.
- Non era un chat line
- Va bene, va bene. Era un blog.
- E' diverso.
- Va bene. La vedi un paio di volte. Dopo un po' lei viene a vivere a casa tua. Le trovi anche un lavoro. Non sai praticamente niente di lei.
- Non è proprio così che sono andate le cose..
La mia è una debole obiezione. Perché, credetemi, è una cosa strana quando qualcuno ti riepiloga così alcuni anni della tua vita. Cioè i passaggi fondamentali ci sono tutti. Però poi mancano un sacco di altre cose. Di questo sono sicuro. Quali siano queste cose però mi risulterebbe difficile spiegarlo così su due piedi.
- Da dove viene fuori, che ha fatto prima, dove abitava , con chi abitava, Andrea, tu non hai mai saputo niente di lei.
- So quello che mi ha detto e mi basta.
- Praticamente senza famiglia
- I genitori sono morti in un incidente stradale. E poi ha una cugina a Los Angeles.
- E non che non ci abbiamo provato a dirti di andarci piano, Andrea, di non partire in quarta. Ma tu niente. Neanche stavi ad ascoltare. E poi che vuoi dire ad un uomo innamorato perso? Allegra di qua e Allegra di là, e quant'è bella e brava Allegra e quant'è intelligente Allegra e quanto è socialmente solidale e politicamente corretta Allegra e quanto è vegetariana Allegra. Andrea, quella donna ti faceva mangiare il tofu per cena e tu dicevi pure che era buono, non so se ti rendi conto.
- Ma infatti guarda che il tofu alla piastra non è poi tanto male...
Dico automaticamente, a bassa voce, come tra me e me. Andrea mi guarda un attimo in silenzio poi domanda:
- Lo vedi che ho ragione?

lunedì, 25 settembre 2006

Italia - Ucraina

"Cazzo, se possono giocare Zaccardo, Barone, Barzagli e Oddo, possono giocare tutti..."
Maurizio poggia il boccale di birra. Da ragazzo pare che fosse una promessa nelle giovanili della Reggiana. Adesso quando giochiamo a calcetto, dirigenti contro impiegati, lui è fuori classifica. Abbiamo perso un paio di volte quando era all'estero.

La partita è andata via tranquilla, giusto un paio di brividi all'inizio del secondo tempo.
Allegra s'è un po' alterata, quando Maurizio ha aperto un cartone di pizze al taglio: diavola, boscaiola, capricciosa, wurstel e patate.

S'è fatta il tofu tra il primo e il secondo tempo, alla piastra. Io me lo sono mangiato; Maurizio ha fatto la faccia da emiliano davanti a una mortadella fatta a Hong Kong.

E' venerdì sera e così decidiamo di andare a fare un giro.
Anzi decidiamo di andare a Bologna. Dopo qualche discussione finiamo in un wine bar a Bologna.

Maurizio, come sempre, ci mette mezz'ora prima di scegliere il vino assolutamente perfetto. Siamo arrivati molto tardi, quasi a mezzanotte e abbiamo un tavolo all'angolo, vicino al bagno.
A un certo punto vedo un tizio brizzolato che si avvicina al nostro tavolo.
Mi sembra ... mi sembra che guardasse verso di noi, verso Allegra.

Di colpo, senza che ce fosse motivo Allegra si volta verso di me e mi dà un bacio, lungo e profondo, da lasciarmi senza fiato.

Certo ero un po' rimbambito per quel sua bacio improvviso, per la sua lingua, per il suo alito che sapeva di Muller Thurgau.
Ora non ho più dubbi; il tizio brizzolato aveva detto "Paola".

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