mercoledì 25 gennaio 2012

A VA' PENSIERO
da Umberto Eco riceviamo e, volentieri pubblichiamo

Quando Bossi entrò in possesso di un filmato in cui si vedeva Berlusconi, vestito da Renato Zero anni sessanta, che si faceva fustigare da una escort travestita da Maschera di Ferro Ovvero il Segreto della Bastiglia, il presidente del consiglio era ormai nelle sue mani. E infatti la Lega ottenne subito un decreto legge che aboliva "Fratelli d'Italia" come inno nazionale e lo sostituiva con "Va pensiero". L'universo leghista entrava tuttavia in crisi quando Calderoli, informato da un collega dentista melomane, si rendeva conto che "Va pensiero" non solo era il canto di alcuni esuli ebrei, ma esprimeva il dolore di chi non celebrava una regione conquistata bensì anelava a un patria perduta - e in ogni caso, come aveva osservato Raffaele Lombardo con meridionale intuizione, quella geremiade menava gramo. Inoltre Fini, con sorrisini sarcastici, aveva cominciato a dire che gli andava benissimo un inno scritto da un grande patriota come Verdi, che esprimeva a puntino lo stato d'animo risorgimentale e il sogno di una nuova Alleanza Nazionale.

A questo punto le Lega intera si era ribellata a Bossi che era stato costretto a chiedere a Berlusconi un nuovo decreto legge, facendo leva su un altro filmato (entrato fortunosamente in suo possesso) che mostrava il presidente del consiglio che, toltesi le scarpe, si era travestito da Brunetta, e si faceva fustigare da Letta che, messe le scarpe del presidente, si era travestito da Ciccio Ingrassia.

Il nuovo decreto istituiva al posto dell'inno nazionale tanti inni dialettali quante erano le venti regioni, e ordinava che nelle occasioni ufficiali dovesse essere eseguito solo l'inno regionale.

Per certe regioni la scelta era stata facile: la Liguria aveva subito adottato "Cibben che son piccinn-a - ghe l'ho comme mæ moæ: - a pâ ?na barca a veja - con tûtti i sò mainæ!", mentre in
Piemonte ai sostenitori de "La bella Gigogin" si opponevano coloro che lo ritenevano troppo risorgimentale e proponevano in alternativa "Ricordi quelle sere passate al Valentino"; accorgendosi però all'ultimo momento che non era in dialetto torinese, e ripiegando su "Maria Gioana a l'era an sl'uss - a l'era an sl'uss ch'a la filava oh! (bis) Trullalalà!". La Lombardia, ispirandosi anche al Capo leghista, aveva scelto "El purtava el scarp del tennis", il Trentino Alto Adige optava decisamente per la Marcia di Radetsky, il Veneto si attestava su "La biondina in gondoleta - l'altra sera gò menà" e il Friuli Venezia Giulia, scartati "Le campane di San Giusto" e "Vola Colomba bianca vola", troppo nazional- irredentisti, ripiegava su "Ciribiribin, paghè 'na bira, Ciribiribin, no go moneda, Ciribiribin, doman de sera, Ciribiribin, la pagherò!".

Per la Toscana era sembrato quasi naturale scegliere "La porti un bacione a Firenze", ma si erano opposte Lucca, Pisa e Livorno, iniziando una faida dagli esiti incerti. Pisa voleva, benché in italiano, "Evviva la torre di Pisa", per Livorno "Il Vernacoliere" aveva preparato un inedito "La topa c'è", e i lucchesi, per orgoglio pucciniano, dialetto a parte, volevano "Un bel di' vedremo levarsi un fil di fumo", dove l'atteso fil di fumo avrebbe dovuto evidentemente provenire da Pisa in fiamme. Per conto proprio, Prato aveva scelto un inno cinese.

La Lega aveva provocatoriamente suggerito per la Capitale "Roma non far la stupida stasera" (o almeno "Arrivederci Roma") ma i romani avevano opposto "È mejo er vino de li castelli che questa zozza società". Più dura la faccenda a Napoli dove si scontravano i sostenitori di "O sole mio" con quelli di "A Marechiare" e infine tra i due litiganti godeva il terzo e veniva scelto "Funiculì Funiculà". Trascuriamo per ragioni di spazio le scelte di altre regioni, ricordando al massimo l'Abruzzo con "E vola vola vola vola e vola lu pavone", e la Sicilia con "Ciuri ciuri ciuri di tuttu l'annu, l'amuri ca mi dasti ti lu tornu...".

I problemi erano sorti in campo sportivo. Una tesi radicale voleva che non esistesse più una squadra nazionale degli azzurri ma che nei campionati internazionali si misurassero, che so, il Chievo con l'Argentina o la Sampdoria con l'Inghilterra. Non avendo la federazione internazionale accettato una simile complicazione degli accoppiamenti, si era accettato che giocasse per l'Italia una squadra detta degli Arlecchini, con maglia a losanghe multicolori, e si cantasse all'inizio un pout pourri di tutti gli inni regionali. Il delicato collage melodico veniva affidato ad Apicella ma il risultato sembrava piuttosto una composizione di Sylvano Bussotti, dallo spartito illeggibile, che i calciatori facevano molta fatica a memorizzare e cantare. Per cui si era ripiegato sul coro a bocca chiusa dalla "Butterfly" che, essendo roba giapponese, non evocava nessun risorgimento.

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