mercoledì 25 gennaio 2012

CINGHIALONA

"No, ti prego … Monica è una cinghialona; simpatica certo, però..."

Monica stava dietro un angolo del corridoio del piano dell’albergo dove stavano i maschi.

Nessun dubbio che la voce fosse quella di Massimo.

E, nonostante ci fosse un’altra Monica sul pullman, una della sezione C, non ci poteva essere dubbio che Massimo si riferisse a lei.

Sul pullman erano stati a parlare una mezzoretta.

E poi erano stati sulla spalletta del traghetto a guardare le luci di Reggio tremolare nel mare; avevano fatto la traversata senza parlare. Solo guardare il mare e le due sponde; a Monica era sembrata la cosa più romantica che le era mai successa.

E anche adesso guardava il mare, a mezzanotte, o forse l’una; l’albergo stava sul lungomare di Giardini Naxos e la sua era l’unica stanza che non dava su uno squallido cortile interno, ma si apriva sul mare.

Era appoggiata sul davanzale; Marica e Diana, le sue due compagne di stanza, stavano nella stanza accanto, da dove arrivavano risate, a volte vere e proprie esplosioni di risate.

Massimo le era sembrato sin dal quarto ginnasio un essere umano; nel senso, pensava Monica, che non era solo pallone, file Mp3 scaricati da internet, parolacce e sotterfugi per passare l’anno.

Non era la questione che era bravo a scuola, quello le sembrava un particolare.

Era Stendhal, era Dostoevskij, era Svevo, Joyce: erano quei classici che a Monica occupavano gran parte del tempo libero e che sembrava che non interessassero nessuno. Massimo sapeva chi era Julien Sorel, sapeva quanto aveva sofferto Raskolnikov, sapeva che lei aveva provato un brivido, un misto di terrore e intensità quando Gilbert di The dead dice che è ora di andare verso Occidente.

Cinghialona.

Allora, allora … Massimo era come tutti gli altri.

Era una colpa essere uno e settantotto? E pesare … beh, pensava, lasciamo perdere. Ma, porca miseria, si diceva, se papà e mamma sembrano i protagonisti di quella sit-com americana, Pappa e ciccia, io che ci posso fare?

Marica era sua amica; l’aveva guardata cambiarsi appena arrivate in camera. I jeans a vita bassa, un diavolo di tatuaggio etnico proprio alla fine della schiena; difetti ne aveva anche lei, ad esempio le gambe un po’ corte, rispetto al busto, ma certo nessuno l’avrebbe mai chiamata Cinghialona.

Marica era come doveva essere una ragazza di diciott’anni: rideva quando non ce n’era bisogno, ma per fare gruppo; fumava se gli altri fumavano; ogni paio di mesi cambiava ragazzo, o i ragazzi cambiavano lei con un’altra. In fondo non era male, per un film la domenica pomeriggio, o per un pezzo di pizza; non era male anche quando la stava ad ascoltare e, anzi, le sembrava che, quando l’ascoltava e le rispondeva, lì, ci fosse una Marica diversa, quella vera, che sapeva parlare e tacere coi tempi giusti e a volte trovare anche le parole adatte.

Nella tasca dietro dei pantaloni sentì il telefonino vibrare. Massimo, sperò, un sms.

Era Marica: "Vieni qui da noi, dai!".

Monica sorrise pensando che, se in mezzo al casino, alle cuscinate, alle birre e alle pomiciate, quella ragazza con le gambe un po’ corte e il tatuaggio, pensava a mandarle un sms, non era poi così male.

Ma non le sembrava essere arrivato ancora il momento di smettere di guardare il mare.

C’erano due lucette lontane.

A Monica vennero in mente i lupini, i pescatori, Aci Trezza. Chissà cosa sarebbe venuto in mente a Massimo, vedendo quelle stesse lucette lontane; e un brivido, uno vero, le venne nell’attimo in cui si trovò a pensare a come sarebbe stato avere Massimo appoggiato al davanzale, lì vicino a lei.

Era da tempo che non si sentiva nata per fumare, cantare in coro Vasco, andare in giro ore per scegliere un vestito o un reggiseno; come nel pullman non si sentiva da ultime file. Era salita quasi per prima, la mattina, ma si era seduta nel mezzo, perché sedersi nelle prime file l’avrebbe sicuramente fatta passare per la solita secchiona, agli occhi dei suoi compagni.

Valeva la pena andare nella stanza accanto?

Aveva senso guardare lo Ionio in una notte di inizio aprile, con mezza luna in fondo al cielo e pensare ai Malavoglia?

Voleva una sensazione che sentisse più sua, un’emozione più vicina a tutto quel suo mondo di libri, di film, persino in bianco e nero, di sabati al teatro, di strane piccole perle che a troppe persone sembravano noiose o incomprensibili.

Decise che essere una cinghialona non l’avrebbe cambiata, che in fondo Massimo non era così male e che magari qualche canzone di Vasco, prima o poi, l’avrebbe cantata.

Ma soprattutto decise che quelle due lucette lontane con Verga non c’entravano niente.

Erano due amici che se ne stavano su una barca, con la scusa della pesca, a guardare la luna.

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