mercoledì 25 gennaio 2012

giovedì, 07 settembre 2006

HO DECISO: IO PARTO

Il titolo lo troveremo. La storia è questa.
Grosso tira il rigore decisivo. L'Italia vince i mondiali. Andrea, trentacinque anni, una bella carriera in corso in una bella e ricca città dell'Emilia, sta guardando la partita con la sua compagna, Allegra, e due coppie di amici.
Escono per andare a festeggiare; Allegra resta a casa.
Andrea torna a casa alle due di notte. Silenzio.
All'ingresso, sullo specchio- attaccapanni, un post-it. "Sono andata via. Non cercarmi"
Sembra sparita ogni traccia di Allegra.
E Andrea sul letto, da solo, ripensa a quel faditico mese dall'11 giugno all'11 luglio, cercando i segnali, i motivi, le crepe.

§1. Italia-Francia

Grosso ha uno sguardo che non capisco. Non capisco cioè se è davvero freddo e concentrato o se non si è reso conto di cosa sta facendo. Passa la lingua sulle labbra, come se invece di battere un rigore si dovesse mettere a cantare.
Stiamo zitti; non siamo certo l'unica casa in cui siamo tutti mano nella mano. Io e Allegra, ovviamente, ma anche Filippo e Angela, Maurizio e Rossella.
Tiro.
Gol.
Urliamo come pazzi. Filippo esce sul balcone e urla un vaffanculo enorme quanto la notte.
Verso la periferia già si vedono i fuochi d'artificio. Abbraccio Allegra e lei si stringe a me, ci urliamo qualcosa in faccia l'un l'altro, Campioni del mondo. Ci baciamo che sembra Capodanno, un attimo prima che mettano il Disco samba.

Maurizio prepara i mojito; ce l'aveva promesso. Ce li passiamo aspettando che Cannavaro alzi quella cavolo di coppa.
Alzata.
"Usciamo" urlo.
Allegra mi guarda con l'aria un po' stanca; è da stamattina che me lo dice che è stanca. "Vai tu. Io vado a dormire. E' da stamattina che non mi sento tanto bene".

Un altro bacio, un sorriso, un altro urlo Campioni e usciamo; il corso sta a mezzo chilometro e ce la facciamo a piedi.
Il casino è fantastico e tremendo. Vedo per strada persone che pensavo morte; abbraccio un compagno di classe delle medie che peserà 150 chili ed è sudato come un maiale.
Alle due, rintontito torno a casa.
Dagli altri appartamenti si sente ancora casino.
Trovo le chiavi e apro. E' tutto buio. Allegra dorme.
Non accendo la luce per non svegliarla; vado nel mio bagno, piscio e non tiro l'acqua, per non svegliarla.
Vado a letto; il percorso al buio dal bagno al letto lo so fare perfettamente, basta sfiorare coll'indice della mano i muri, gli interruttori, le porte.
Mi tolgo i vestiti al buio e li lancio verso la poltrona. In mutande mi butto sul letto; allungo la mano verso Allegra.
Allegra non c'è. La chiamo.
Non risponde.
Un brivido mi scende lungo la schiena. Accendo la luce. Comincio a camminare velocemente, poi a correre, poi mi viene da urlare, ma resto pietrificato.
Sullo specchio, all'ingresso, c'è un post-it. E' viola.
La scrittura è bella, è tonda. E' la scrittura di Allegra.

Con una Tratto-pen blu, che ha appoggiato vicino alle chiavi del motorino, ha scritto cinque semplici parole: "Sono andata via. Non cercarmi"

Ho capito. Siete timidi

§ 2. Italia - Francia

Il primo istinto è chiamarla sul cellulare. Il suo nome sulla rubrica è il primo; il numero l'ho memorizzato con A, la lettera A e basta.
E lei ha fatto lo stesso sul suo cellulare.
Mentre cerco il cellulare dentro al marsupio mi vengono in mente tutte le volte che abbiamo passato le ore a pensare a tutti i nomi con la A avremmo potuto dare ai nostri figli.
Mi viene in mente il suo viso, la sua bocca aperta, spalancata dalle risate, quando le ho detto che se fosse nato maschio, e distruttore come me, il nome perfetto sarebbe stato Attila.

Premo il tasto della chiamata.
Libero.
In bagno, uno squillo, la sua suoneria, quella cavolo di canzone della Tim, col video col bambino che gira l'America in bici.

L'ha lasciato in bagno il telefonino.
Sulla lavatrice.
Le lacrime mi arrivano alla velocità della luce quando accanto al telefonino vedo il bracciale di Swaroski che le avevo regalato al primo anniversario della convivenza, quello che non si toglieva nemmeno per fare la doccia.

Posso chiamare qualcuno.
Poi, penso, sono le tre di notte. Sì ma è scappata.
Poi mi metto a pensare.
Corro in camera da letto. L'armadio a specchi. Ci abbiamo messo una giornata intera per sceglierlo. Avevamo deciso scomparto per scomparto. Questo è mio, questo è tuo.
I suoi vestiti.
Non ci sono.
I suoi cassetti.
Vuoti.
Non c'è niente.
Il comodino. Vuoto. Anche le medicine, l'Aulin e il VivinC, se le è portate via. Il flaconcino con le gocce di valeriana che stava sempre vicino alla lampada. Non c'è.

Si è portata via persino i vestiti invernali, i piumini, i cappotti.
Rassegnato guardo nella scarpiera.
Non ha lasciato neanche le ciabatte per la piscina.
Niente.
E' andata via, non c'è che dire. Se ne è andata.

Mi siedo sul letto, dalla mia parte, così dò le spalle al suo cuscino e a quella pesantissima, enorme assenza.

3. Italia - Francia

Mi sveglio sudato e con la bocca impastata. La testa pulsa. Faccio mente locale e ricordo la vittoria, la festa e Allegra. Allegra. Accendo la luce e comincio a battere gli occhi. La cerco ma, e' ovvio, lei non c'e'. Mi sono addormentato, com'e' stato possibile? E' ancora notte... Che cavolo, che ore sono? Ha portato via anche la radiosveglia? No, eccola: le 3.35. Non voglio dormire e mi trascino in cucina, riempio la moka e mi siedo a guardarla aspettando il caffe'. Perche'? Perche' e' scappata?
Improvvisamente una riflessione mi colpisce: non e' scappata.
Dire che e' scappata presuppone una decisione improvvisa ma lei, metodicamente, ha svuotato la casa di tutte le sue cose e di certo non ha fatto tutto stasera o, cazzo, non da sola! Da quanto ci pensava? E io come ho fatto a non accorgermene?
Non cercarmi.
Cazzo vuol dire non cercarmi?
La donna cammina sicura nel sottrerraneo nonostante le luci al neon scarseggino. I suoi passi risuonano gravi e si mescolano al rumore delle macchine che passano al piano di sopra. Livello 3, settore D, box 14. E’ da un paio d’anni che non ci mette piede, la chiave fatica a entrare ma poi con uno scatto metallico si apre. Allegra solleva la saracinesca quel tanto che basta a farla passare e a trascinare dentro l’enorme zaino che si è tolta dalle spalle. L’interruttore della luce a destra e la saracinesca da abbassare sembrano un unico gesto fluido. Per qualche istante, il tempo che la luce si accenda, Allegra resta al buio, a respirare quel buio.
Il baule è lì davanti a lei, aperto, vuoto ancora. Allegra ci infila veloce lo zaino abbassa di scatto il coperchio. Dalla tasca estrae un pennarellone rosso e sull’etichetta di carta attaccata sopra al baule scrive con la sua bella calligrafia tonda a grandi caratteri A N D R E A. Spinge il baule contro una parete e ne porta un altro, leggero, vuoto al centro della stanza. Prima di spegnere la luce dà un occhiata alla stanza. Accanto al baule “Andrea”, ce ne sono altri tre: Marco, Francesco e Riccardo.
La saracinesca che si srotola segna un cambio d’umore, ora Allegra può permettersi di respirare a pieni polmoni, di sorridere e di sentirsi più leggera. Imbocca l’uscita a passo veloce.

§4 Non cercarmi



Non cercarmi.

Come se lo vedessi scritto sullo specchio del bagno, sull’anta dell’armadio saccheggiato, in questo groviglio sub-umano del letto sfatto…
Cazzo vuol dire non cercarmi?

Che una può andarsene all’improvviso, risucchiare la vita dell’altro, spolpargliela senza preavviso, neppure un parliamone mi dispiace: una serranda chiusa di botto sui denti, no sulle unghie, anzi…

Cazzo vuol dire non cercarmi?

Che una decide la sua vita e per decidere ghigliottina?

Furba, lei: una bella frasetta a epigrafe. Responsabilità di spiegare, zero.

Come se la cosa, poi, stesse tutta nel non cercare.

Certo, mica mi metterò a fare un porta a porta , il chi l’ha visto per strade e negozi…

Non sguinzaglierò i cani, non pagherò la veggente della casa di fronte, lettura mano&piedi euro 25, non salirò sul traliccio all’incrocio per la tangenziale né urlerò il suo nome lungo la rampa delle scale, Stazione centrale.

E questo significherà non cercarla?

Posso starmene seduto qui, su un letto vuoto, farmi ‘na birra gelata e aprirmi una scatoletta.

Ma già la sto cercando, con il vomito di questa ansia che mi apre lo stomaco a cerniera.

La cerco nelle crepe del muro e della nostra storia, nelle foto mentali delle ultime giornate. Da quando si sono scolorite? Da quando si son fatte pallide? Come pallida era lei, la sera che entrò strana, l’8 giugno. In ritardo, uno dei suoi rarissimi ritardi….

Un ciao Andrea veloce e sbrigativo, uno sparire nello studio, con la testa sepolta nel pc., porta chiusa alle spalle, tipo macigno.

Come non ricordarlo quell’8 di giugno: il primo no, stasera non esco; vai pure tu….



§5. Italia - Ghana

"Diavolo se lo cantano l'inno." Allegra ha comprato un mucchio di pizza.
Filippo sta già in piedi vicino al tavolo: è un caso patologico, non riesce a sedersi quando gioca l'Italia. Angela e Allegra hanno cercato di apparecchiare la tavola come se fosse una sera normale.

Io ho un boccale da un litro in mano stracolmo di birra; l'ho preso l'anno scorso sulla Romantische strasse e bere birra a fiumi mi dà l'idea di stare in Germania.

Ecco, questo mi ricordo di Italia - Ghana, i gol me li ricordo. E ora, su questo letto, accanto a questa assenza, mi ricordo anche il venerdì sera . Il 9 giugno.
Allegra lavora, o lavorava, non lo so più, in una cooperativa che ha l'appalto dell'assistenza domiciliare in un comune qui vicino. Alle cinque stacca e alle cinque e tre quarti, le sei al massimo è a casa. Non fa la spesa; odia i supermercati e così la spesa la faccio io. "Mi piace stare a casa. A casa nostra" lo diceva spesso e ora quest'altra frase banale mi dà un groppo in gola.

E' arrivata quasi alle sette. Sì, ripensandoci, saranno state le sette.
Filippo e Angela ci avevano invitato fuori, alla trattoria vicino al fiume, per l'abilitazione di Angela. Farmacista. Per scherzare era venuta col camice con lo stemmino dell'Ordine.
Che diavolo di particolari mi vengono in mente.
Ero tornato a casa, senza pensare più alla testa nel pc, alla porta chiusa. Eravamo venti persone in trattoria e a mezzanotte ero a casa.
Allegra dormiva?
Questo non me lo ricordo. Però il lunedì, il 12, si era scusata con Angela e, ora ricordo, se ne erano andate in cucina forse cinque minuti ... sì, erano tornate all'urlo per il gol di Pirlo.
Mi era sembrato che avesse gli occhi rossi, Allegra, ma i suoi mal di testa storici, quelli da Aulin a fiumi, la facevano lacrimare e quindi...

Angela... sa qualcosa Angela. Le aveva detto qualcosa. Ma che cazzo sono ancora le quattro. Quando arriva un'ora decente; magari non andrò a Chi l'ha visto, o alla Polizia, ma forse Angela mi potrà spiegare che si erano dette in cucina, quella sera.

Iaquinta è solo. Goooool.
Abbraccio Filippo; Allegra e Angela sono sul balcone. Il calcio non le è mai piaciuto, certo. La partita finisce. Filippo e Angela se ne vanno. Qualcuno strombazza; io mi vedo qualche sintesi, qualche intervista. Allegra è andata a lavarsi i denti appena Filippo e Angela avevano messo piede in ascensore.
Ne avevamo parlato. Ci sembrava una cosa da coppia, come dire... , moderna.
L'accordo era che se uno dei due voleva andare a letto e l'altro aveva da fare, finire una relazione per la cooperativa, finire di vedere un film, farsi una partita alla Play station, beh... non era obbligatorio andare tutti e due a letto.
Però mi ricordo che appena sono arrivato a letto, Allegra mi ha stretto la mano, forte. Siamo rimasti così mano nella mano, fino alla mattina.

6. Pasadena

Non dovrebbe esserci un letto così, la notte successiva al trionfo dell'Italia ai campionati del mondo. Questo letto così spento, silenzioso. Non ci dovrebbe essere una casa così, senza luci accese o gente ubriaca in giro con i pantaloni calati fino alle caviglie. L'ultima volta avevo una cosa come ventitré anni: la vita era diversa, Allegra studiava da qualche parte le cose che l'avrebbero fatta diventare la donna che è e io stesso non ne sapevo niente di lei o del modo che ha la sua treccia di oscillare al centro esatto della schiena ogni volta che cammina. Era Italia-Brasile a Pasadena, praticamente un bollitore a cielo aperto: Donadoni sembrava già il vecchio che sarebbe diventato sulla panchina del Livorno e io dov'ero? Dov'erano tutti i problemi che mi avrebbero raggiunto? Dove stava Grosso? Dove stava Materazzi? Dov'è Allegra?

Allegra è sul dischetto di rigore: sta lì con i suoi tacchi bassi e sta prendendo la rincorsa. Le dico cazzo Allegra, metti qualche volta un paio di scarpe più femminili, seducenti. Lo sai quanto odio quei tacchi a rocchetto. Ma lei niente, dice che si sente già troppo alta così e poi se tutti la guardano le viene quell'imbarazzo che le impedisce i movimenti. Ma, dico io, sei al centro dello stadio di Berlino, stai per battere il rigore decisivo: è impossibile che non ti guardino. Ti guarderebbero anche se indossassi il mantello di Harry Potter, che ti credi? Allora si fa avanti Roberto Baggio, il che è incredibile perché Roberto Baggio ha già smesso da almeno tre anni col pallone e di quel vecchio calcio che inventò gli rimangono solo cicatrici sulle ginocchia e un paio di costole incrinate. Però è lui: è sudato, ha il codino e quella fascia elastica blu dietro il quadricipite destro. Le fa: levati Allegra, che ci penso io. Al che a me viene da urlare no, no, nooooo. Ma proprio non ci riesco: non riesco ad aprire la bocca dalla mia posizione privilegiata ed è per questo che capisco che è un sogno. Nei sogni va così: uno prova a parlare e non ci riesce. Oppure prova a muoversi e, niente, resta immobile come un gatto abbagliato. La consapevolezza di trovarmi in un sogno avvolge tutto quanto, anche la sparizione di Allegra: mi convinco che faccia parte del sogno pure quello e allora allungo un braccio nel tentativo di toccarla e in effetti la tocco. Allegra è vicina a me, anche lei è sudata come Baggio e in un orecchio mi bisbiglia meno male, avevo una paura. Ma paura di che, le domando io, e sono felice di scoprire che almeno questo riesco a dirlo. Paura del rigore, mi risponde Allegra, quando ormai già non ci sto pensando più, lo sai che le responsabilità non me le riesco mai a prendere. Perciò rialzo lo sguardo sul mondo, sull'orizzonte, su non so cosa, perché è pazzesca questa situazione: io che, chissà come, riesco a vedere tutto. Ma non c'è orizzonte, non c'è mondo: c'è solo Roberto Baggio che guarda l'arbitro con la casacca viola e l'arbitro ha veramente il fischietto in bocca, al punto che io vorrei lanciarmi verso di lui - verso l'arbitro - e con un pugno farglielo ingoiare quel fischietto. Ma non posso. Non ci riesco: ecco, sono di nuovo immobilizzato. Gli vorrei dire no, Roberto, lo sbaglierai e tutto andrà a rotoli. Stai sicuro che è con quel pallone finito alto sopra la traversa che un sacco di cose hanno cominciato a girare per il verso sbagliato: il pensionamento di Pizzul, il tuo declino, l'11 settembre, il fondamentalismo islamico, Tiziano Ferro. Vorrei - che so - tirarlo per il codino, prendermi IO la responsabilità del tiro, visto che Allegra glissa sempre davanti alle cose importanti - fin da quando le domandai di sposarla, sotto la Basilica di San Francesco, ad Assisi, tipo una vita fa - indossare i suoi calzoncini col 10 e sbam, tirarla rasoterra quella maledetta palla. E far girare tutto diversamente. Ma Baggio non ne vuole sapere, non capisce, ha già le mani sui fianchi e pure se io sono là e lo posso vedere, contemporaneamente sono a casa, nel salotto di Filippo (anche lui ha il viso più liscio e l'aria di chi ancora non ha mai tirato pugni alle ante degli armadi) con gli occhi spalancati, nell'orgia devastante della seconda finale mondiale della nostra vita (ma la prima volta eravamo più che altro impegnati con la pubertà).

No, no, nooooo, gli vorrei dire tirandogli schiaffi sul petto. Ma l'abbraccio di Allegra mi tiene, ecco adesso ho capito cos'è che mi impedisce di muovermi, ed è il suo bacio - un bacio che improvvisamente mi sento stampato sulla bocca - che non mi rende possibile la parola. Perciò al diavolo Baggio, al diavolo Romario e Bebeto, al diavolo Pasadena, al diavolo Pizzul e al diavolo pure la coppa del Mondo. Bacio Allegra, che è l'amore della mia vita, pure se quel giorno ad Assisi non fece altro che guardarsi la punta dei mocassini. La bacio finché non mi trovo sveglio, da solo, nel mio letto, con in bocca il sapore salato di un pianto e le corde vocali tumefatte dall'urlo mondiale. "Allegra", dico alla stanza più triste d'Italia e mi ricordo tutto. Sono le sette di mattina del 12 luglio 2006 e quel pallone scagliato da Baggio ha forse finalmente trovato un vetro da infrangere: mi rizzo sul materasso e, poggiato sul gomito, mi accorgo che è giorno.

Nomen omen, pensa la donna e sorride. Allegra si sente, quella mattina. Allegra si è sforzata di essere per tener fede alla promessa del nome. Non ci è riuscita sempre. Non sempre le è bastato. Stamane, invece, che l'allegria viene fuori dall'aria che respira, la donna fantastica un altro nome per un differente destino.
Sorride al suo riflesso dentro lo specchio a parete del parrucchiere, poi sorride ancora ad una delle ragazze che le porge un vassoio con dei bicchierini di caffé.
"Grazie, è già zuccherato vero?"
Con Andrea non prendeva mai il caffè. Soffriva di gastrite. Con Andrea preferiva il tè. Senza zucchero e con un goccio di latte.
Finito il suo caffè la donna ne assapora ancora per qualche attimo l' aroma dolce e intenso sulla punta della lingua. Nel grande salone pieno di luci e specchi nessuno fa caso quando lei toglie gli occhiali dal naso e li lascia cadere, insieme al bicchierino monouso, nel cestino dei rifiuti, tra fazzoletti di carta e mucchi di capelli.
Quello lì tutto in bianco che sembra un gigolò sudamericano, con tatuaggio di ordinanza, quello lì deve essere il capo, pensa la donna. Quando le si avvicina lei scioglie rapida la lunga treccia biondo cenere, e nello stesso momento le viene in mente che potrebbe essere la volta in cui cominciare a fumare.
"Allora, come li facciamo?" domanda lui.
"Corti e neri. Li facciamo corti e neri".
L'orario decente non è ancora arrivato. Non fa niente. Se Angela sa qualcosa si aspetterà una mia chiamata; e, se sa qualcosa, si merita di essere svegliata. Se non lo sa? Beh, se non lo sa se lo merita lo stesso; in tutti questi anni, tutto questo tempo, avrebbe dovuto saperlo. Chi la conosce da tanto tempo avrebbe dovuto dirmelo.
Io?
Io non conto. La vicinanza è, sempre, inversamente proporzionale alla conoscenza. Occorre una certa distanza per conoscere davvero qualcuno; avete mai provato a leggere un libro appiccicandovi alle pagine?
Non è colpa mia.
E forse non è nemmeno colpa sua.
Non c’è nessuno, nessuno, che ci sia più vicino di noi stessi.

"Guarda, se proprio devo essere sincera, non mi è nemmeno mai piaciuta tanto", ha appena finito di dire Angela con la bocca ancora in parte impastata dal brusco risveglio, "non del tutto, almeno".
Siamo al telefono ormai da mezz'ora ma questo non me l'aspettavo. Ero partito con una aggressività decisa, pensando di trovarmi di fronte ad una complice, e mi ritrovo al fianco una compassionevole alleata. La cosa fino a ieri non mi avrebbe convinto ma stasera ho bisogno di tenere la guardia bassa. Sono completamente in balia degli avversari, alle corde dopo un colpo che mi ha quasi messo ko.
Prima, dopo aver mostrato uno stupore apparentemente reale, ha avuto il coraggio di dirmi che quella sera, in cucina, Angela gli aveva chiesto la ricetta dei tortellini. Proprio lei, che sarebbe stata la candidata ideale per un posto di ricerca e sviluppo alla Quattro salti in padella. Figuriamoci.
Ma stasera sono disposto a credere a chiunque si dimostri quanto meno disposto ad ascoltarmi. Sono il sogno di ogni politico, ho un cartello con scritto Offresi, seminuovo, disperazione inclusa proprio sullo sterno.
E ho l’impressione che tutti lo sappiano.
“Come mai?”, le chiedo sinceramente interessato.
“Ma, non so. Non so davvero come spiegartelo. È che tutti noi, dopo tanti anni, siamo diventati così maturi. Lei no, lei aveva solo una parvenza di maturità. Ma se la guardavi bene ti accorgevi che si stava sforzando. Aveva qualche atteggiamento, ogni tanto, anche se sempre più di rado, un atteggiamento che ricordava l’intemperanza della nostra gioventù. Ecco, in lei, qualche volta, si intravedeva ancora quello che noi abbiamo nascosto così bene."
“Vuoi dire che noi abbiamo perso la nostra intemperanza?”
“Perché, non lo sai? Tutta. L’abbiamo persa tutta”.
“E questo era un motivo sufficiente a non fartela piacere?”
“Sembra di sì. Era un motivo sufficiente a farmi provare invidia. Ed è esattamente la stessa cosa”.

talia - Stati Uniti

Gilardino sviolina. Zaccardo inciampa. De Rossi sgomita. La pizzeria è piena di gente incazzata nera. L'impotenza dell'Italia ricorda gli europei del 2004. Quando annullano il gol agli Stati Uniti mi sento come uno che ha rubato in un autogrill.

Allegra è fuori; Angela voleva fumarsi una sigaretta, una di quelle sigarette più fine, con il pacchetto elegante.

Filippo si è fatto birra e gassosa; è il suo modo per far credere che nonostante la villa fuori città e quella a Cervia e quella a Cortina e la multiproprietà a Nizza e la villa nel campo da golf in Costarica, in fondo suo nonno aveva una rivendita di olio e suo padre aveva sudato per diventare notaio.

Torniamo a casa. "Non ti sembra di aver buttato un sabato sera?" mi dice Allegra.
"Vabbè la partita ... i Mondiali una volta ogni 4 anni" ribatto.
"No, non è questo. E' che è troppo tempo che i sabato sera sembrano obbligatori. Non dico che sto male con Filippo e Angela o in uno dei party che dà qualche tuo collega. E' che io e te..."
"Io e te cosa?"
Allegra sembra concentrarsi. "Andiamo al mare? A Rimini, adesso"
"E' l'una e mezza, ci vuole un'ora"
La guardo, ha ragione, un'ora che sarà?

Riscendiamo e riprendiamo la mia Cherokee, abbassiamo i finestrini e ci facciamo Parma - Rimini a finestrini giù. Alle tre meno un quarto siamo sulla spiaggia di Rimini.
Ci sono coppiette, nascoste tra le cabine degli stabilimenti e in riva al mare, ma anche comitive di ragazzini già mezzi ubriachi.
Allegra si toglie le scarpe; ha dei pantaloni corti di jeans fino al ginocchio. Non le piace prendere il sole; non le piacciono le lampade e le sue caviglie sono bianche come vuole la luna.
Si mette a correre sul bagnasciuga.
Io le corro appresso, coi pantaloni rossi tirati su al ginocchio.
"Mi sembri il cavallo della Vidal" ride, a bocca aperta, quasi sguaiatamente.
Allegra non ha mai riso così.

giovedì, 14 settembre 2006

E poi è la volta dell’estetista, un pacchetto completo, depilazione, massaggio e lampada, “voglio un colore diverso, dorato” esclama alla ragazza che l’accoglie e pensa, “e nuovi vestiti a fiori”.
Adesso adora il viola, e girerà tutti i negozi fino a trovare un vestito viola a fiori che svolazzi al primo alito di vento, che la faccia sentire una fata o una strega, chi sa.
Ha camminato a lungo quella notte, molto più che le altre volte e la città era tutta piena di luci e di colori, di suoni assordanti, di voci rauche. Ad un certo punto le è anche venuto in mente che avrebbe potuto incontrarli, così per caso, Andrea e gli altri due, abbracciati, inebriati e vivi per una di quelle strade. L’avrebbero trasportata con loro, avrebbero rovinato tutto, ma non era accaduto, e l’alba era sorta viola all’orizzonte segnando l’inizio di un'ennesima vita.
Un orizzonte libero, sgombro da tutto, da Andrea, dalla casa, dal lavoro, da Allegra così com’era. Da Allegra che sapeva di rancido, da Allegra che doveva morire e risorgere nuova come sempre, ancora una volta.
Quanto erano stati semplici gli ultimi giorni, dopo settimane passate a resistere a contrastare tutto anche la voce dell’anima, dopo momenti assurdi in cui era arrivata a dirsi la faccio finita, si era arresa finalmente. E tutto era stato nuovamente calmo.
Un pacco la volta, prima i vestiti invernali, cappotti e cappelli che non avrebbe mai più indossato, poi gli oggetti più strani, collezionati in una vita giunta alla fine. Aveva pregato che l’Italia vincesse, aveva pregato che uscissero tutti, era certa che Andrea non avrebbe capito, un bacio sulla porta, un bacio e tutto sarebbe stato nuovo.

(scritto da Onecat e solo postato da stefanopz)

sabato, 16 settembre 2006

Italia - Repubblica Ceca

Dal primo gennaio sono direttore dei Progetti speciali qui alla Salumi Barzani. Sulle prime pensavo che spostarmi dalle Risorse umane ai Progetti speciali fosse un modo elegante per dirmi che non contavo un cazzo.
Invece Barzani, il vecchio, mi ha fatto chiamare e mi ha detto "Andrea, dobbiamo raddoppiare lo stabilimento. I consulenti della ... quelli americani hanno detto che la cosa migliore è fare uno staff apposito e di mettertici a capo, perché sei uno giusto. Pigliati cinque tra impiegati e capireparto e fallo, lo stabilimento".
Pilade Barzani ha qualcosa tra gli 80 e i 90 anni e, ovviamente, ha cominciato facendo il garzone da un macellaio: è l'incarnazione dell'intuito, dell'uomo che si è fatto da sé. Persino noi dirigenti che vestiamo alla milanese e che usiamo tutti i nostri briefing, executive e default ne abbiamo un rispetto quasi mistico.

E' per questo rispetto che il 22 giugno la riunione con l'architettone, uno di quelli che scrive sulle riviste, finisce alle quattro e mezza e io non mi incazzo più di tanto.

Arrivo a casa che stiamo uno a zero.

Sono le quattro e tre quarti e Allegra dovrebbe essere ancora al lavoro. Invece è a casa, la testa nel PC. Quando entro nella stanza, quella dove sta il PC, alza un attimo gli occhi, poi si rimette a scrivere. Posta elettronica, immagino.

Ha una cugina che vive a Los Angeles, con cui ha passato tutte le estati da adolescente, e si tengono in contatto così.
Del resto io non ho segreti per lei, né lei per me. Io non ho nemmeno la password alla posta elettronica, ma del resto oltre a offerte per aumentare il volume dello sperma e per dei Rolex a 10 Euro non è che mi arrivi gran roba.

"Sei tornato prima?" mi chiede dopo un paio di minuti. Ha la voce un po' rotta, a ripensarci adesso.
"C'è la partita dell'Italia"
"Ah benissimo, allora arrivo"

In quel momento squilla il telefono.
Vado a rispondere.
Dall'altra parte riattaccano. Lo sfanculo mentalmente, perché Nedved ha tirato un'altra bordata e Buffon gli sta prendendo tutto.

Sì, ora ricordo. Ricordo il segnale di un sms sul cellulare di Allegra.

Quando Allegra arriva a sedersi accanto a me sul divano sembra pallida, sembra sudata.

Italia - Australia

Siamo schierati sul divano, da destra a sinistra.
Angela Filippo Allegra e io.
Filippo dopo un paio di minuti si alza e si piazza in piedi vicino al tavolo.
La partita va come va, noiosa e nervosa.
Rosso per Materazzi. Ovvio, era impossibile che ne facesse due di fila fatte bene.

Ultimo minuto, anzi oltre.
Grosso si avventura in area. Finisce più o meno a terra. Rigore.
Pupone. Gol.
Urlo liberatorio immane.

Sono quasi le sette e sono in un bagno di sudore. Mi faccio una doccia. Filippo e Angela vanno via.
Esco dalla doccia e, da fuori alla porta, Angela mi fa: "Vado a prendere qualcosa per cena. Torno tra una mezz'oretta".
Alle sette e tre quarti arriva Maurizio.
Ci siamo laureati insieme e lui è il responsabile amministrativo della Salumi Barzani: a volte ci vantiamo di essere gli unici due dirigenti sotto i quaranta.
A volte, come la sera del 21 giugno, stiamo a guardarci i budget della costruzione del nuovo stabilimento cercando dove poter tagliare costi in maniera selvaggia.

Lavoriamo col suo pc in salone.
Alle otto e venti torna Allegra. Ci saluta.
Io e Maurizio alziamo a malapena la testa dal pc.

Cazzo, che cieco che sono.
Allegra non aveva in mano nessuna busta della spesa.

E’ un buon risultato quello che Allegra osserva riflesso nello specchio del camerino di prova. Un bel tipo aggressivo con l’aria sicura sicura di sé quella donna dal caschetto corvino che la fissa negli occhi attraverso lo specchio. Anche l’abbigliamento aiuta: i jeans attillati, gli stivaloni texani a punta. Ora è pronta, la trasformazione è avvenuta all’esterno e pian piano si trasferirà all’interno, e l’Allegra dolce e remissiva lascerà il posto a un’altra donna volitiva, decisa, fredda. Anche quello stupido nome andrà cambiato, non le si addice di certo più, ma c’è tempo, per quello c’è tempo, anzi per tutto c’è tempo. Non rimane che attendere, non resta che aspettare che si facciano vivi, che le facciano avere le nuove consegne. E’ il tempo che preferisce questo, questo vuoto fra un incarico e l’altro. Questa pausa che la lascia libera di non essere nulla, di non interpretare una parte. Finalmente rilassata, finalmente se stessa.

- Scusami se te lo chiedo ma sei sicuro che non ci fosse un altro? Non ti sei mai accorto di niente di strano? Tipo messaggi, telefonate....capito no?
Filippo è un amico. Mi ha invitato a pranzo mandando a monte un paio di appuntamenti. Che io invece avevo chiamato al lavoro e avevo detto che stavo male, una forma virale di quelle terribili, praticamente non mi reggevo in piedi e il vecchio ci mandasse qualcun altro a fare anticamera dall'architetto o in alternativa si fottesse una volta buona lui e i salumi . E insomma neanche mi andava di uscire di casa ma poi Filippo ha insistito. Dice parliamone che ti fa bene. Forse è vero. Che se non ne parlo con nessuno rischia di sembrarmi tutto frutto della mia immaginazione compreso tutto il tempo con Allegra, compresa Allegra stessa.
- Sai come succede, rispondo versandomi altro vino, non è che normalmente ci fai caso a certe cose. Cioè io neanche mi ricordo bene. Però se ci fosse stato un segnale , uno qualunque, uno anche piccolo che le cose andavano male me lo ricorderei. Tipo un litigio, un malumore, un' assenza, un'irrequietezza sua ...invece niente. Devo pensare di essere stato cieco in qualche modo.
- E' che è difficile cogliere certi segnali nella quotidianità forse...
- Che poi la cosa che mi secca è che sostanzialmente ora mi sento un coglione. E dovrei avercela con lei, no? Perché non si fa così: di cosa hai paura eh? Perché te la fili così , senza dirmi niente? non siamo forse adulti, non si può parlare come abbiamo sempre fatto? Di cosa hai paura? Che faccio scenate, che ti chiudo dentro casa, che do la testa contro il muro che do la tua testa contro il muro, eh? Di cosa hai paura? Non sai forse come sono fatto dopo tutto questo tempo? Invece, guarda, più ci penso e più non riesco ad avercela con lei.
- E' evidente che per lei è stato più comodo comportarsi così, Andrea.
- Cioè mi stai dicendo che devo rassegnarmi a pensare di aver vissuto con una stronza.
- Adesso è presto ma vedrai che col tempo....
- Ecco qui: adesso anche tu come Angela te ne vieni fuori dopo tutto sto tempo a dirmi che non ti è mai piaciuta.
- Non è questo Andrea ma...
Filippo esita fissando il vuoto con tutta l' insopportabile ingenuità dei suoi occhi chiari. Sento salirmi come una rabbia dentro. Come una voglia di spaccare qualcosa, qualsiasi cosa. Alzo la voce.
- Vuoi dirmi anche tu la stronzata dell'intemperanza giovanile? Farmi qualche altra analisi psicologica del cazzo rigorosamente a posteriori, non sia mai dovesse risultare utile a qualcosa tranne a dire che, in fondo, avevate capito tutto tu e quell'altra intelligentona là di Angela?
- Senti, Andrea, ma pure tu però... !
- Pure io cosa?
Sto praticamente urlando. Al tavolo a fianco una coppia si volta a guardarci.
- E va bene ti dico come l'ho sempre vista la faccenda tra te e Allegra.
- E sentiamo.
- Conosci questa tipa in una chat line.
- Non era un chat line
- Va bene, va bene. Era un blog.
- E' diverso.
- Va bene. La vedi un paio di volte. Dopo un po' lei viene a vivere a casa tua. Le trovi anche un lavoro. Non sai praticamente niente di lei.
- Non è proprio così che sono andate le cose..
La mia è una debole obiezione. Perché, credetemi, è una cosa strana quando qualcuno ti riepiloga così alcuni anni della tua vita. Cioè i passaggi fondamentali ci sono tutti. Però poi mancano un sacco di altre cose. Di questo sono sicuro. Quali siano queste cose però mi risulterebbe difficile spiegarlo così su due piedi.
- Da dove viene fuori, che ha fatto prima, dove abitava , con chi abitava, Andrea, tu non hai mai saputo niente di lei.
- So quello che mi ha detto e mi basta.
- Praticamente senza famiglia
- I genitori sono morti in un incidente stradale. E poi ha una cugina a Los Angeles.
- E non che non ci abbiamo provato a dirti di andarci piano, Andrea, di non partire in quarta. Ma tu niente. Neanche stavi ad ascoltare. E poi che vuoi dire ad un uomo innamorato perso? Allegra di qua e Allegra di là, e quant'è bella e brava Allegra e quant'è intelligente Allegra e quanto è socialmente solidale e politicamente corretta Allegra e quanto è vegetariana Allegra. Andrea, quella donna ti faceva mangiare il tofu per cena e tu dicevi pure che era buono, non so se ti rendi conto.
- Ma infatti guarda che il tofu alla piastra non è poi tanto male...
Dico automaticamente, a bassa voce, come tra me e me. Andrea mi guarda un attimo in silenzio poi domanda:
- Lo vedi che ho ragione?

lunedì, 25 settembre 2006

Italia - Ucraina

"Cazzo, se possono giocare Zaccardo, Barone, Barzagli e Oddo, possono giocare tutti..."
Maurizio poggia il boccale di birra. Da ragazzo pare che fosse una promessa nelle giovanili della Reggiana. Adesso quando giochiamo a calcetto, dirigenti contro impiegati, lui è fuori classifica. Abbiamo perso un paio di volte quando era all'estero.

La partita è andata via tranquilla, giusto un paio di brividi all'inizio del secondo tempo.
Allegra s'è un po' alterata, quando Maurizio ha aperto un cartone di pizze al taglio: diavola, boscaiola, capricciosa, wurstel e patate.

S'è fatta il tofu tra il primo e il secondo tempo, alla piastra. Io me lo sono mangiato; Maurizio ha fatto la faccia da emiliano davanti a una mortadella fatta a Hong Kong.

E' venerdì sera e così decidiamo di andare a fare un giro.
Anzi decidiamo di andare a Bologna. Dopo qualche discussione finiamo in un wine bar a Bologna.

Maurizio, come sempre, ci mette mezz'ora prima di scegliere il vino assolutamente perfetto. Siamo arrivati molto tardi, quasi a mezzanotte e abbiamo un tavolo all'angolo, vicino al bagno.
A un certo punto vedo un tizio brizzolato che si avvicina al nostro tavolo.
Mi sembra ... mi sembra che guardasse verso di noi, verso Allegra.

Di colpo, senza che ce fosse motivo Allegra si volta verso di me e mi dà un bacio, lungo e profondo, da lasciarmi senza fiato.

Certo ero un po' rimbambito per quel sua bacio improvviso, per la sua lingua, per il suo alito che sapeva di Muller Thurgau.
Ora non ho più dubbi; il tizio brizzolato aveva detto "Paola".
UNA SPECIE DI RITORNO A CASA


1.
Tutto cominciò con una telefonata...
Driiiin...
Matteo grugnì, rigirandosi nel letto. Normalmente si alzava riposato e di buon umore, durante il week end. Ma dopo l'incredibile nottata appena trascorsa, davvero non riusciva a muovere un muscolo. La testa pulsava e sentiva il braccio destro dolorante e stranamente rigido.
Driiiin...
'Questa è di sicuro mia madre', pensò 'ancora dopo tanti anni è impossibile farle capire che nonostante mezzogiorno sia un orario più che decente per svegliarsi non è detto che IO abbia dormito un numero sufficiente di ore'. Si chiese a che ora fosse rientrato. Non riusciva a mettere insieme tutti i dettagli della serata, ma doveva essere stato mattino.
Driiiin...
Aprì un occhio. Uno solo. Gettò uno sguardo alla sveglia. Le due e un quarto. Eppure fuori era ancora buio, e pioveva. Quanto detestava questa città in inverno. Scostò le coperte per avvicinarsi al telefono e con la coda dell'occhio si accorse della chioma di capelli color oro nel cuscino accanto al suo. Ma chi diavolo era quella? Doveva assolutamente smetterla di bere così tanto...
Driiiin...
Un colpo di tosse. La mano sulla cornetta. Con la lingua impastata biascicò un 'Pronto?'
E quello fu l'inizio di tutto...

2.
"Pronto."
"Teo? Ciao sono Massimo."
"Ciao, che è successo?"
"Stavi dormendo?"
"Beh, sì ma... come mai mi chiami a quest'ora? E' successo qualcosa?"
"No, niente. Cioè no. Qualcosa è successo. Chiara mi ha lasciato."
"Ah”
“…”
“Mi spiace. Come mai?"
"Non lo so. Cioè, le cose non funzionavano da un po' di tempo..."
"Ah..."
”…”
"... mi spiace."
"Senti, non l'hai mica sentita?"
"Io? No e perché?"
"Non so. Sotto sotto ho sempre pensato che fosse ancora innamorata di te."
"No, senti. Il discorso sta prendendo una brutta piega..."
"No Teo senti..."
"Davvero, guarda, se credi che tra me e tua moglie ci sia qualcosa ti sbagli di grosso."
"Teo, non dico che sia lì da te ma che potrebbe cercare di contattarti perché, che cazzo ne so, sai, cercando la sua gioventù, le occasioni mancate..."
"Ma quali occasioni... senti: io non so se lei ci pensi ancora. Io credo proprio di no, a giudicare da come mi tratta quando ci vediamo."
"Teo, non sto dicendo che da parte tua ci sia qualcosa..."
"In ogni caso ti posso assicurare che da parte mia non c'è più nulla. Ho una mia vita adesso, completamente diversa da quando stavamo tutti assieme al paese."
"Ma questo è chiarissimo..."
"Meglio così. Comunque non credo che si faccia viva ma ti assicuro che non ho nessun problema a richiamarti subito casomai lo facesse, ok?"
"Grazie Teo. E' esattamente quello che speravo mi dicessi."
DRIIIN
"Scusa mi suonano alla porta."

Matteo si alza e va all'ingresso. Di fronte si trova Chiara con due valigie. Le fa un cenno come dire: "Ma sei matta?" poi si volta e guarda verso il telefono. La fa entrare ma le indica chiaramente di restare in silenzio. Riprende in mano la cornetta.
"Senti, adesso ti devo lasciare. Comunque se ho notizie ti richiamo subito."
"Ci conto. Stammi bene e scusami ancora."
"Tienimi informato."
"D'accordo. Ciao."
"Ciao."

3.
Hai presente quei momenti che non vorresti mai vivere? hai presente? beh eccolo. mal di testa, nausea, alito pesante. la moglie prossima ex del tuo vecchio e caro amico sulla porta. con lei due valigie. te due borse. sotto gli occhi. guardi la scena. come dal tuo corpo astrale. hai presente quei racconti della gente quasi morta che vede tutto dall'esterno? hai presente? ecco, così. all'incirca. nel letto, il tuo letto, una bella biondina. ma per quanti sforzi tu faccia, niente. non ti ricordi il suo nome. Paola? Maria? Giovanna? boh.
- ciao Matteo
- scus.. un atti.. cioè.. - cerchi le ciabatte e un po' di lucidità, stranamente non trovi ne uno ne l'altra
la biondina si sveglia, guarda te, guarda lei, blatera qualcosa che assomiglia ad un
- e quella chi cazzo è?
domanda che vale per più di una persona qua dentro.
devi fare un bel po' d'ordine. e non solo in camera. e non solo in bagno.
- la domanda vale anche per te!
Chiara non ha tutti torti. qualche minuto fa ho pensato la stessa cosa. hai presente la telepatia? hai presente? ecco. all'incirca.
- scusate signore.. allor.. ma dove cazz.. - siediti sul letto, respira - dunque.. Chiara ti presento.. - bravo, così - ti presento...
- Monica.. stronzo!
- gia'.. Monica.. –
Per la cronaca lo stronzo sono io.

4.
Monica, cerchio alla testa e gran sete, si alza e afferrata la camicia del tipo, coma cavolo fara' di nome, se la infila. Anche con quella addosso in stanza fa freddo, fuori dal letto. Deve andare in bagno e poi, forse prima, bere almeno un litro d'acqua. Si blocca di botto. Chi cazzo sara' la tizia sconvolta? Possibile che non finisca mai con qualcuno che ha una vita normale? Sempre a lei i drammi familiari?
- E 'sta Chiara, chi e'? - chiede.
L'altra donna la guarda e Monica, sapendo di essere quasi nuda, si espone anche di piu' decidendo istintivamente di difendere un territorio non suo. Quest'uomo l'ha trovato lei, e' suo e non sara' la bamboccia appena arrivata a cacciarla di li'. Con passo deciso avanza, gli appoggia la mano sulla spalla e ripete - Chi cazzo e' quella, che ti si presenta a quest'ora con le valige in mano? Buttala fuori... - addolcisce la voce - e torniamo a letto, bel manzo...

5.
Cazzo, sono proprio uno stronzo se mi ritrovo la mattina a letto con una cosi', ma e' tutta la situazione che e' un assurdo al momento. Chiara mi guarda con i suoi occhi chiari pieni di dolore e di interrogativi, quasi a domandarsi dov'e' finito il ragazzo di cui lei era follemente innamorata, e io mi sento un verme, la mia solida sicurezza di trentenne vacilla davanti a quello sguardo semplice.Siamo tutti in una situazione sbagliata, ma qualcosa bisogna pur fare, e forse continuare ad essere stronzo e' una soluzione, almeno con una delle due. E poi questa perfetta sconosciuta che si comporta come se io fossi cosa sua mi sta gia' sulle palle. Senti Monica...non vorrei sembrarti scortese (cazzo, son proprio stronzo) ma vorrei che mi lasciassi solo adesso, questa e' una mia vecchia amica e ha bisogno del mio aiuto...quindi, se puoi rivestirti ti chiamo un taxi, scusa, non sono in condizione di riaccompagnarti....Lei mi guarda con uno sguardo assassino e dice senza alcuna inibizione- la rabbia e' troppo grande- sei proprio uno stronzo...io non la guardo e non replico, il mal di testa e' imperante, mi alzo lentamente e vado verso Chiara, come a dirle ma che cavolo sei venuta a fare qui, ma il suo sguardo smarrito non lo reggo, le dico dai, andiamo in cucina, mentre monica si riveste.Ci sediamo di fronte nel piccolo tavolo della cucina,il mio appartamento e' piccolo ma confortevole, il silenzio dura, mi metto a fare il caffe e do le spalle a chiara, quando mi giro due grosse lacrime silenziose le rigano il viso, improvvisamente mi rendo conto di quanto sia in imbarazzo, di quanto si senta stupida, di quanto stupide ha capito che fossero le sue speranze di ritrovare da me...cosa?!E mentre cerco nella mia bocca impastata delle parole, e mentre vedo nella mia mente impastata il mio amico solo e disperato come la voce che la stessa disperazione aveva reso quasi priva di ogni contegno la porta sbatte furiosamente. La biondina se n'e' andata senza salutare, a quanto pare.


6.
Nel tempo che Matteo impiega a pulire la macchinetta del caffè, lavarla sotto l'acqua fredda, caricarla di nuovo e metterla sul fuoco, in tutto questo tempo Chiara, grandi occhi liquidi, lo osserva da dietro.
I suoi capelli scompigliati sono il racconto dettagliato di una notte con pochi sogni; i boxer e la maglietta mostrano la consunzione tipica dei lavaggi sbagliati: sembra che viva ancora da solo, questo Chiara può immaginarlo con buona approssimazione.
Poco prima aveva ascoltato il suo tentativo di imbastire un discorso che restituisse alla discussione l'aspetto di un civile confronto tra persone adulte, soffocando la tensione e le istintive rivendicazioni territoriali. Accortasi del misero fallimento degli intenti di Matteo aveva iniziato a concentrarsi sul puro suono delle sue parole, così familiare, così caldo: Matteo, dopo tutti questi anni, non aveva abbandonato l'accento della loro terra.
Questo le era bastato a recuperare un legame antico.
Le lacrime che lente le stanno sciogliendo il velo di fondotinta, in realtà, sono il segno della sua gioia.
Probabilmente Matteo pensa sia un pianto di tristezza. Ma quando le chiede se va tutto bene lei si sente rispondere: "Il freddo, là fuori. L'aria sembrava fatta di aghi. Mi ha dato fastidio agli occhi."

7.
E finalmente trovo il coraggio di guardare Chiara negli occhi. E mi perdo, come è sempre accaduto.
"Perché sei qui?" E' l'unica frase che riesco ad articolare. Perché la sua tristezza mi ferisce e mi confonde. Mentre mi avvicino per porgerle il caffè, in attesa di una sua risposta, mi investe il suo profumo. Non ci ho mai capito nulla di profumi, tantomeno da donna, ma il suo lo ricordo bene. E' delicato, ha l'odore dei glicini dell'aia dei miei genitori. Sento salirmi una specie di rabbia e vorrei domandarle perché si sia presentata così all'improvviso per schiaffarmi di prepotenza in una vita passata.
Lei abbozza un sorriso e finalmente risponde: "Avevo bisogno di tornare a casa. Ho bisogno di capire che direzione debba prendere la mia vita. Per farlo ho bisogno di ripercorrere alcuni momenti. E devo partire dalla mansarda della casa dei tuoi genitori a Bevagna. Dal nostro primo bacio. Ho bisogno che mi accompagni lì.". Sono confuso. Non riesco a pensare serenamente a quello che dovrei fare. Chiamare Massimo, correre dietro alla biondina-come-si-chiama e riprendere la mia vita incasinata ma mia, accompagnare Chiara affrontando paure e ricordi, tornare a dormire sperando sia solo il vino che ho bevuto ieri sera?

8.
"Chiara, adesso non ce la faccio. Riposati un po' qua, se vuoi"
Matteo le indica il letto, ancora sfatto, sul cuscino l'avvallamento, prodotto dalla testa bionda di poco prima.

Matteo apre un attimo la finestra, perché finalmente ha percepito l'odore di vino e di sesso.

Chiara si mette a rifare il letto, con mani sapienti.

Matteo trova una scusa per andare in cucina; quelle mani troppo veloci gli hanno fatto fare uno stream of conscience che non gli piace: Chiara rifà il letto; lo fa come una vera donna di casa; Chiara donna della mia casa; moglie, figli, Bevagna; la casa poco fuori il paese da risistemare, la vecchia casa di nonno Arturo.

In cucina, prende il latte dal frigo, la mano gli trema.
Dalla finestra della camera da letto di nonno Arturo si vede la casa di Massimo, quasi in cima al paese.
L'accordo è stato raggiunto in silenzio, per fortuna.

Chiara si stende sul piumone, sul letto rifatto; Matteo cerca una posizione comoda sopra il divano.

Ma la mano gli trema ancora.

9.
Massimo, riattaccato il telefono, si siede affranto sul letto. La testa tra le mani si insulta piano: - Idiota di un imbecille testa di cazzo! Perche' hai telefonato a Teo? Brillante, veramente brillante... Già l’idea di chiamare Laura… L'unico a cui non dovevi dirlo. Hai sentito che voce ha fatto? Mi immagino la faccia...
Improvvisamente, con rabbia, si alza. spalanca l'armadio e comincia a buttare alla rinfusa camicie e biancheria in un borsone, infila la maglia nei pantaloni e afferra le chiavi della macchina. Il telefono comincia a squillare e Massimo si precipita a rispondere. Dopo due passi inciampa nelle lenzuola, gettate sul pavimento, e con una spalla sfonda lo specchio appeso alla parete. Una pioggia di schegge lo ricopre. Con la mano sanguinante raggiunge l'apparecchio: - Chiara, sei tu?
La voce, impietosa, di sua suocera lo apostrofa: - Massi, cercavo Chiara. Evidentemente non c'e'... Dove la trovo?
Il panico e' visibile sul volto mentre la mano sinistra, questa sana, preme un taglio sulla fronte.
- E' uscita, non so... Guarda mi si e' appena spaccato in testa lo specchio... Poi le dico di richiamarti, va bene?
- Che specchio? - Marta lo interrompe, fredda e asciutta come sempre quando parla col genero che non ha mai amato - Quello che v'abbiamo regalato io e Gianni al matrimonio?
- Si quello, son scivo...
- Sai quanto c'e' costato? Che fatica...
Sbang! Massimo sbatte la cornetta sul telefono e pensa a quella stronza che mentre lui quasi s'ammazza pensa allo stronzissimo specchio che, a ben pensarci, ha sempre odiato; una merda d'affare gigante con la cornice dorata. Corre in bagno e controlla i danni: un bel taglio sulla fronte e il palmo della destra aperto fino all'osso. Dovrebbe andare al pronto soccorso ma l'idea neanche lo sfiora; saccheggia l'armadietto dei medicinali e alla meno peggio si rattoppa. Raccolta la borsa esce diretto verso Milano, da Matteo.
- Ultimamente parlava sempre di quel periodo; Teo mi sapra' dare il nome di qualche amica di allora, se mi vede di persona non si rifiutera' - borbotta.

10.
Stesa su di un fianco, rannicchiata su se stessa, Chiara finge di dormire. Ma che cosa le è saltato in mente, si domanda. Ma che ci fa, lì, adesso. A casa con Massimo, ricorda, le solite parole cattive, il solito veleno puro, sferzate in pieno volto. E lei che dice non è giusto che io debba vivere così, non era questo che volevo, non lo sopporto più. E lo sguardo crudele e beffardo di lui che le dice nessuno ti trattiene, voglio vedere dove cazzo vai. Già, dove cazzo vai. Un treno di notte per raggiungere l'unico posto che le è venuto in mente. Perchè Matteo quella volta le disse che lui ci sarebbe stato sempre. Quella volta. Quanto tempo fa? Sono cose che si dicono tanto per dire, sono cose a cui non crede mai nessuno veramente. Il treno, il taxi, suonare alla sua porta con le borse in mano: semplicemente infantile, ridicolo. Roba da telenovela. Come se lei fosse davvero una specie di femme fatale, una donna davvero indimenticabile. La faccia di Matteo quando l'ha vista, quando ha posato lo sguardo sulle borse, e poi la biondina nel suo letto. Santo cielo, che figura di merda. E adesso, non potrà far finta di dormire ancora per molto.

Matteo appoggia la testa sul divano, chiude gli occhi, la tazza ancora fra le mani, piena, che la nausea è più forte della voglia di qualcosa di caldo.
Chiara li aveva sempre divisi. Indecisa nella scelta, incapace di prendere una decisione. "Io voglio bene a entrambi. Non posso avervi tutti e due?" Rideva e li prendeva sottobraccio. E con loro passeggiava per Bevagna. Ma alla fine una decisione l’aveva presa, eccome.
Con Massimo era amico da una vita, le scuole assieme, il campo di calcetto, anche le stesse ragazze, fino al suo arrivo. Chiara, col suo sorriso che spaccava il mondo, li aveva dilaniati allontanandoli. Ora il rapporto fra loro era solo apparente, nulla era stato superato, solo ben nascosto dietro all’ipocrisia di un aperitivo assieme, gli auguri a Natale, la rimpatriata fra compagni di scuola, ma mai niente, da allora, era stato come prima. Avevano preso le distanze gradualmente, senza che gli altri se ne accorgessero, ma il sospetto e il dolore erano ben presenti negli sguardi fra loro, mai diretti, elusi, di striscio.

11.
Matteo, improvvisamente svegliato dallo sbuffo di un respiro sul suo viso, sobbalza.
Vicina a lui Chiara lo osserva assorta. Lo sguardo venato di un'insofferenza sedimentata. Strati su strati, accumulati negli anni.
Rinunciare a Matteo le era costato più di quanto pensasse, ma lui questo non lo sapeva.
La scrutò senza dir nulla e pensava a tutte le volte che le aveva guardato le labbra da vicino, pensando di correggergliele mentalmente in un disegno più morbido.
Tutte le volte che pensava l'avrebbe conquistata per sempre.
Tutte le volte che aveva fatto progetti per entrambi.
Non era sicuro di cosa provasse ancora per lei, ma quei ricordi riaffioravano e lo riempivano d'irrequietezza. Aveva voglia di abbracciarla, di riascoltare la sua risata, trasmettere e ricevere segnali, non aspettare.
Faceva uno strano effetto essere lì, insieme...
eppure non riusciva ad immaginare di essere da nessun'altra parte.

12.
Blu elettrico, il divano, finta alcantara; per contrastare tutto questo color acciaio e piombo che c'è fuori, pensa Chiara.

Chiara guarda i capelli spettinati, il naso regolare, i tre piccoli nei affiancati sotto l'occhio destro.

'C'hai Orione sotto l'occhio' aveva detto Chiara nella mansarda.

Chiara sorride pensando che ricordava perfettamente il giorno, il 14 giugno 1996 e l'ora, le undici e dieci, di sera.

Era stato Matteo, dopo il primo bacio, a guardare l'orologio.

Sopra Orione, gli occhi neri neri avevano sorriso: "Di stasera" aveva detto Matteo "tra quindici anni, quando avremo la seconda occasione, mi voglio ricordare a che ora ci siamo dati il primo bacio, questo sacrosanto sospirato primo bacio".

"Hai visto" dice Chiara al Matteo del febbraio 2004, steso scompostamente sulla finta alcantara, "a quindici anni non ci siamo arrivati; la metà del tempo è bastata".

Matteo apre gli occhi, neri neri, in mezzo un reticolo di piccole rughe d'espressione.

"Quando t'ho detto quella boiata, speravo che la seconda occasione sarebbe arrivata il giorno dopo".


13.
Laura era ancora appoggiata al muro sotto il portico, stupita e intorpidita. Quella scena l'aveva fatta piombare in un vortice di ricordi quasi antichi, ma non del tutto sbiaditi. Trasformati, certo. Ritoccati dalla coscienza, forse. Abbelliti dal make up del tempo. Piallati quanto può bastare per renderli sopportabili.
Quella che aveva visto entrare nel portone del condominio di Matteo sembrava proprio Chiara. Gli stessi capelli lunghi e dritti come spaghetti, che da ragazzina detestava. Lo stesso fisico snello e nervoso. Lo stesso sguardo profondo, abbagliante, anche da lontano. Chiara e due grosse valigie, come a confessione di un fallimento, di una fuga, di un ripensamento, questo è sicuro. E chi l'avrebbe mai detto. Eppure, Laura temeva da sempre un momento come quello. Senza mai confessarlo. Il nome di quella donna era una presenza invisibile in quasi tutti i discorsi tra Laura e Matteo. Era un non detto palpabile. Era un imbarazzo eterno. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con il passato. Perché era più presente che mai.
Quel giorno, a quell'ora, Laura non passava di lì per caso. Quasi con timore, come se qualcuno potesse vederla, nascose dietro la schiena il pacco che aveva tra le mani. Riportò il peso su entrambe le gambe e s'incamminò, con una ruga in mezzo agli occhi.

14.
Matteo si morse un labbro. Scacciò quel ricordo. Quell'orologio era rimasto fermo sulle undici e dieci, in fondo alla sua testa e in un punto imprecisato del petto. Ma questo non glielo poteva dire.
Si rivide in fondo a una chiesa, addobbato a festa, a torcersi le mani e a fissare il pavimento come un idiota, con dentro e addosso soltanto voglia di scappare. Lo ricordava benissimo, era febbraio anche allora. Si era maledetto tante volte per aver voluto alzare gli occhi in quel momento preciso. Si malediceva ancora tutte le volte che quel momento era tornato nelle sue notti più buie, a popolargli i sogni nervosi:lei... nel suo vestito bianco....più bella di quanto l'avesse mai vista...infilare un anello a una mano non sua.
Cos'è che vuoi adesso Chiara? Come posso aiutarti? Da cos'è che vuoi essere salvata?
Sentì crescergli una rabbia dentro, avrebbe voluto dirle:”tuo marito ti sta cercando!” Calcando su quella parola, per sottolineare la distanza, per delineare il confine fra loro due.
Ma Chiara sorrise. Imbarazzata, mortificata e dolce.....

Matteo guardò il pavimento, non avendo il coraggio di guardarla e sul pavimento, vicino al letto, vide le scarpe di Chiara.
Rimase a fissare quelle scarpe, una in piedi l'altra sdraiata come stanca per la troppa strada; le sue scarpe sono fuori posto, sono delle straniere in questa casa. Si immaginò come sarebbero state quelle scarpe se lei avesse scelto lui al posto di Massimo, ora non sarebbero abbandonate ai piedi del letto, sarebbero protette, chiuse dentro la scarpiera. Vorrebbe metterle via, riordinare tutto, le sue scarpe e la loro vita, mettere anche lei al suo posto, al suo fianco in questa città.
Vorrebbe nasconderla da Massimo, cancellare il loro passato e prendersi tutto ma nella sua testa risuona la voce di Massimo che cerca Chiara, si ricorda di loro. Loro sono Massimo e Chiara, Chiara da sola non esiste, esiste solo un Loro. Si immagina i piedi di Chiara colmare la distanza tra il letto e il divano, danzano in punta per non prendere freddo. Poi li vede, ora, al suo fianco.

Batte una mano sul divano accanto a sè: "Siediti qui matta, che cosa è successo?".

15.
Ma in fondo lo sapeva. Perché in fondo lo sai sempre.
Non ne aveva mai definito i confini tantomeno la natura, ma lo percepiva eccome.
Guidava con la mano fasciata e dolorante senza rendersi bene conto di quello che realmente stava facendo. Anche perché non sapeva, quello che stava facendo.
La sua testa era occupata solo ad esorcizzare quella sensazione pesante ed inafferabile, e l'unico modo era quello di pensare a sua moglie, Chiara. A quando lei scelse lui e non Matteo. Cercava di sentire ancora una volta quel brivido di soddisfazione che provava ogni volta che la presentava come la sua fidanzata. Cercava di trovare sollievo provando a rivivere quella sera in cui tutti organizzarono una festa per la partenza del suo migliore amico, che stava davvero lasciando tutto per andare a vivere altrove, lontano da lui, da lei e da quella realtà. Sera in cui tutte le sue insicurezze partirono con Matteo.
Aveva vinto lui, ma non gli bastava. Così come non gli bastava avere una fede al dito, ripercorrere le piccole vittorie sull'amico e neanche possedere il trofeo.
Voleva che quella sensazione sparisse e in fretta. Ma più ribadiva la proprietà di Chiara e più si sentiva lacerare dentro, fino a vedere i loro sguardi completi e complici. Fino a pensare a quella che lui si ostinava a definire "sintonia". Solo che non era sintonia, era esclusivismo, inarrivabile, ed intoccabile. E lui ne era fuori.

E’ andata da lui, lo so. perché? lo so perché certe cose le senti. certe cose le sai e basta. vetri. i vetri che ho conficcati da qualche parte sul mio corpo a questo punto sono un bene. mi tengono sveglio. troppe fitte. alla mano, alla testa, al cuore. soprattutto all'ultimo. i vetri sono il meno. centottanta chilometri orari e la testa in aria. non sono un buon mix. dovrei rallentare certo. dovrei guidare con prudenza. l'auto può essere un'arma mi ricordano i cartelli luminosi. un'arma nelle mani di un ferito. nel corpo e nell'anima. dovrei ma non posso. devo arrivare da Matteo. in fretta. confuso. tutto troppo confuso. mia moglie, cazzo mia moglie!, mi pianta come un coglione da un momento all'altro. Se ne va. dovevo telefonare a Matteo. siamo cresciuti insieme. ci conosciamo da una vita. ma quel campanello. è lei. lo so. lo so. dannazione! e te togliti coglione! i pensieri si accavallano a centottanta all'ora. i pensieri scivolano a quella velocità. mi fa male tutto. ma devo andare.

Solo un fischio fastidioso e continuo lo riportò alla realtà. Alle sue chiappe sul sedile e alla mano che gli faceva sempre più male. Doveva fare benzina era in autostrada, aveva fame e stava andando dal suo amico.

16.
Fa freddo.
Merda se fa freddo.
Con questo vento fa ancora più male piangere.
E adesso?

Laura passò di fianco ad un cestino.
Che faccio? Lo butto?
Allungò il braccio, lo lasciò lì, fermo, per qualche secondo, come ad aspettare che fosse lui a decidere se gettarlo o rimetterlo sotto l'impermeabile.

Chiara..da quanto non la vedevo?
Sette? Otto anni?
Bella, bionda, dolce.
Se fossi almeno riuscita ad odiarla senza sentirmi in colpa..
Come fai ad odiare una come lei? Una così..così..perfetta, cristo..così perfetta.

Le si era fermato il respiro quando aveva sentito la voce di Massimo..
"Laura..è finita. Chiara se n'è andata.."
Matteo..

Era stata la sua prima preoccupazione.
Sapeva che lei sarebbe tornata a cercarlo.
Lo sapevano tutti.
Anche Massimo.
E anche Eva, che ogni tanto la chiamava per aggiornarla sulle novità giù al paese, glielo aveva sempre detto.
"Tra quei due..secondo me.."

Tutti stavano ancora lì, ad aspettare di veder succedere qualcosa tra quei due.
Nessuno se l'era sentita di mettere la parola fine a questa faccenda.
Neanche quando Matteo aveva fatto le valigie e si era lasciato tutto alle spalle.
Neanche quando Massimo se l'era portata all'altare.

Ritrasse il braccio, come se qualcuno l'avesse improvvisamente strappata ai suoi pensieri.
Guardò il pacco e lo strinse a sè.
Stava toccando il fondo, e in qualche modo doveva risalire.

Con un gesto prepotente si cancellò le lacrime dal viso.

Ama me. Lui ama me.
Ce la metto io la parola fine!

Si girò di scatto, per tornare verso casa di Matteo.
Fece due passi..tre..quattro..e..
Non spetta a me..

Si girò di nuovo e riprese a camminare, con quel pacco ingombrante e scomodo sotto all'impermeabile..

17.
Massimo e' fermo in autogrill. Non ha potuto evitarlo perche', senza benzina, la fottuta auto non va. Si e' appena scolato due caffe' e porta una borsina con tre bottiglie di coca, con la sinistra. Non vuole addormentarsi ma tutto l'aulin che si e' cacciato in corpo per la mano che pulsa lo preoccupa un po'. Il timore non e' per se' ma non vuole rischiare di non arrivare anche se dove e a che cosa non gli e' chiarissimo, al momento. Fa il pieno e si siede al volante. Con una manovra azzardata torna alla piazzola di sosta, appoggia la testa e chiude gli occhi. Vorrebbe piangere, dormire, urlare. Sente bussare al finestrino e si riscuote. Una ragazza in mini e stivali lo guarda e lui abbassa il finestrino - Che c'e'? Che vuoi?
- Ti ho visto qua, con quella benda in testa e mi chiedevo se stessi male o che.
- Cazzo. Una buona samaritana.
La guarda; e' bionda e nella sua testa bollita gli ricorda Chiara.
- Oh, il signore - fa lei - scusa se t'ho svegliato...
- No, scusa tu. E' che non e' un buon periodo.
- Occhei, pace... - si volta, fa due passi e torna in dietro - Scusa, non e' che mi dai un passaggio? Ero con degli amici e...
- No. E poi non mi fermo fino a Milano - intanto, pero', pensa che due chiacchiere magari lo tengono sveglio.
- Milano mi va bene, ti do' i soldi per la benzina, dai!
- Va bene, sali. Io sono Massimo, come ti chiami?
- Sofia.
Partono e Massimo ricomincia a correre. La guarda, il viso, le gambe. Carina e' carina, non c'e' dubbio. I chilometri passano veloci ma il fatto di essere due perfetti sconosciuti non favorisce la conversazione.
- Sono stanco, mi fa male la mano. Tu hai la patente?
- Si.
Si fermano e mentre cambiano di posto lei lo guarda e fa
- Ti dovresti tirare un po' su. Vuoi...
Il quesito inespresso aleggia a mezz'aria. Massimo non sa cosa dire e la guarda al volante, sono ancora fermi.
Arrossisce e dice - Cosa... No, non e' il caso... Io...
- Ma cosa hai capito? Tieni! - gli allunga una bustina con della polverina bianca - per ringraziarti.
Ripartono e Massimo e' fermo li', zitto, con la coca in mano.
Si chiede chi sia la tizia che guida.

18.
- Siediti qui matta, raccontami quello che è successo.
Matteo aveva un potere incredibile per scardinare le sue difese e farla tornare bambina. Era forse questo che stava cercando? Decise di prender tempo
- Vado a farmi un tè.
Si alzò, andò in cucina e, di ritorno, si sedette sulla sedia di fronte al divano. Dopo un attimo più di pausa che di esitazione portò la tazza alle labbra per un tempo che voleva essere interminabile. Intanto lo guardava di sottecchi. Il bello di Matteo era che non giudicava mai le persone: adesso per esempio la guardava sereno, dolce ma come se avesse di fronte una sorella scapestrata piuttosto che un'ex amante. Ripensandoci però avrebbe preferito una sfuriata.
- Prima al telefono era Massimo.
- L'avevo intuito.
- Dice che te ne sei andata.
- Sì.
- Perché?
Chiara si strinse nelle spalle e bevve un'altra sorsata.
- Non lo so.
- Sì che lo sai.
Chiara bevve ancora un sorso. Poi un altro. Finì il tè in silenzio, poi porse la tazza vuota a Matteo.
- Voglio una seconda opportunità.
Matteo le prese la tazza vuota e si alzò.
- Con me o in generale?

19.
"Vattene!"
E' quello che vorrei dirti. E invece comincio anche a fare lo scemo. "Ma come cazzo ti permetti di venire qui a squassarmi la vita solo perché la tua non ha senso?".
Anche questo vorrei dirti. Ma la voce non vuole uscire. Credo di essere ancora frastornato. Da me stesso. La tua incursione improvvisa mi spinge a riflettere anche su me stesso. Vado a letto con una biondina a cui ho offerto una mezza dozzina di mojitos. E meno male che poi ha accettato l'invito a casa altrimenti avrei speso i soldi che non ho -come se me ne preoccupassi mai-. Nel frattempo Laura vorrebbe un uomo al suo fianco ed io fingo di non capire. Continuo a collezionare giocattoli per contrastare la sua silente pressione.
"Va bene, andiamo a Bevagna. Mi do una lavata e partiamo." L'ho detto. Non posso tornare indietro ora. Ma che cazzata ho detto! Certo che posso! Però so che farà bene anche a me. Ma io non ho bisogno di cure, cazzo!
"Grazie." Questo suono flebile proviene dalla bocca di Chiara. Vorrei di nuovo baciarti, affondare la mia disperazione tra i tuoi seni. Credo che non potrò continuare a respirare se non ti bacio subito. L'amore fa pensare come Liala, a quanto pare. La verità è che vorrei farci l'amore, per ore.E non starci in macchina, per ore. Che cosa dirò a Laura? Nulla. Lei è molto più saggia di tutti noi. E' per questo che mi ama. Io sono il suo lato pazzo. Lei è il mio lato saggio. Che a me non basta. Quando mi canta Vedi cara di Guccini, io so che la sta cantando a se stessa.
"Mi preparo." Ecco, ora l'acqua fredda sulla faccia mi farà riprendere possesso delle mie facoltà mentali.
Mi lavo e mi vesto come un automa. Quando prendo le chiavi della macchina, ritorno in me per qualche istante e poi, di nuovo in questo strano limbo in cui Chiara è il mio Virgilio: "Andiamo?" Le dico, sorridendo. Sono sereno. Affrontiamo anche questa. Vuoi vedere che Peter Pan si deciderà a crescere?

20.
Lo scatto della porta. Scendiamo le scale. Ovviamente ho dimenticato il portafoglio. Tutte le volte che scendo di casa, devo ritornare a prendere qualcosa. La mia distrazione è qualcosa di innato... non mi riconoscerei senza.
- Ho lasciato la patente su. Mi aspetti in macchina?
- Va bene
- E' quella grigia, posteggiata nell'angolo
In quattro balzi sono nuovamente alla porta. Entro in camera e trovo il portafoglio sul comodino. Proprio a fianco del telefono.
Penso a Massimo... 'Cazzo! E' il mio più caro amico. Non posso fargli questo. Gli ho promesso che l'avrei chiamato. E l'amicizia per me è importante. Più importante di qualsiasi cosa. E sia...' Alzo la cornetta e compongo il numero in modo automatico. Driiin ... driiin... driiin... scatta la segreteria, la voce di Chiara... - Ciao, non possiamo rispondere... Lascia un messaggio e ti richiameremo al più presto!
- Ehm... Ciao Massi, sono Teo....ehm... volevo sapere come stavi... mmm...lascia stare... provo sul cellulare... ciao...
Faccio il numero del cellulare e questa volta mi risponde la voce registrata della vodafone
- vodafone messaggio gratuito, il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile la preghiamo di riprovare più tardi...
Si vede che non è destino... Prendo le sigarette sul tavolo e corro giù da Chiara. Mi aspetta in macchina, fumando nervosa. Quanto è bella... Quando mi avvicino alla portiera mi accorgo di una riga nuova sulla carrozzeria. Maledizione alla biondina... Sospiro e apro la portiera.
- Eccomi, si parte...

21.
"Non è farina, vero?" Massimo prova l'approccio scherzoso.
"Direi di no" fa Sofia.
"Fai la corriera della droga?"
"Corriera mi ricorda gli autobus sulle strade di campagna"
"Fai... diciamo servizi speciali di trasporto conto terzi"
"Conto proprio e conto terzi"
"Luogo di destinazione: Milano?"
"Luogo di destinazione: Milano"
"Prezzi modici?"
"Manco per sogno"
"Clientela vip? Che so.. calciatori, veline..."
"Diciamo amici e amici di amici"
"E agganci sempre il gonzo all'autogrill?"
"No, normalmente ci vado di persona, con uno, anzi; ma oggi quello mi ha mandato al cesso, all'autogrill e quando ho finito di pisciare sono uscita e ho visto che stava già imboccando l'autostrada"
Scaricata anche lei, pensa Massimo.
"Il problema è che voi donne ci mettete troppo tempo per andare al cesso"
Sofia ride.
A Massimo sembra una di quelle ragazze della pubblicità dei telefonini, una di quelle sulla barca a vela, con le fossette sulle guance.
Massimo la guarda e pensa per qualche secondo a tutto il mondo che c'è, oltre l'orizzonte di Chiara.

22.
Che stupida idea questo regalo.
Quanto mi sento ridicola.

Stringe quel pacco, lo tasta, lo tocca..per ricordarne i dettagli.
Un sole..e una luna..due sagome dipinte a mano.
Calde come la terracotta di cui sono fatte.
Colorate come i loro momenti migliori.
Lei, il sole. Sempre pronta a sorridere, a sdrammatizzare, a sprecare carezze.
Lui, la luna. Volubile, incostante, sfuggente.

Quante cose vorrei dirti amore mio, con questo sole e questa luna..Tutte quelle che, davanti ai tuoi occhi, mi spariscono in gola.
Questi siamo noi.
E adesso siamo nelle tue mani.
Sarai tu ad avvicinarli, se e quando vorrai.
Questo voglio dirti.
Che non ti chiedo nulla di più di quello che sai darmi.
Che non voglio che tu cambi mai.
Che così..sei bellissimo..
Non poteva buttarlo.
Lo avrebbe messo in un cassetto.
Prima o poi Chiara se ne sarebbe andata.
Sì sì..se ne andrà..
Prima o poi arriverà l'occasione giusta per darglielo..
Per adesso me lo stringo ancora un po'..
Laura..?
Laura..
Che ci fa qui?
Matteo girò la chiavetta, spense la macchina. Aprì la portiera e, prima di scendere, si ricordò di doversi voltare..
"Chiara..scusa..ci metto un attimo.."
"Laura..ma.."
"Ciao Matti.."

23.
La macchina corre e macina chilometri, le narici di Massimo e Sofia sembra macinino farina.
- Lo stronzo m'ha mollata in autogrill? E noi gli bruciamo la sua parte... Su dal naso dritta al cervello! - la bionda era esplosa a un certo punto - Allora?
Lui era un po' incerto pero' l'atmosfera da film on the road, il sorriso di lei e la rabbia e il dolore accumulati gli han fatto chinare il capo in un assenso. Parecchia coca e' sparita quando arrivano a Milano.
Massimo, al volante, guarda Sofia e le fa - Mi puoi accompagnare in un posto? Poi ti porto dove vuoi, ma adesso ho fretta...
Non aspetta la risposta e il silenzio gli basta. Guida come un esagitato ma la strada e' semplice; Matteo abita in una traversa di Corso Lodi e arrivando da sud e' un attimo. Con uno strido delle ruote compie l'ultima svolta e i fari dell'auto illuminano Matteo che parla con Laura; lo sguardo alterato di Massimo e' pero' fisso su Chiara che attende tranquilla, seduta in auto.

24.
"Ma che sei pazzo???"
Ci mancava pure 'sto pazzo omicida che voleva investire Laura... "Massimo?!?". Ora mi sento davvero a disagio. Forse è un numero di Dylan Dog ed io sono il protagonista tartassato. Ma tutta 'sta gente oggi m'ha preso per il proprio punching ball da salotto?
"Vedo che andate a fare una gita." Ha appena finito di dire Massimo. E' furente. Assomiglia tanto all'immagine che mi ero fatto al liceo dell'Orlando furioso a caccia di Angelica. "Massimo, ascolta... noi... stavamo giusto venendo a Bevagna..." Non sono sicuro di aver detto questa frase con la risolutezza necessaria.
"Sì, certo. Come è vero che mi hai telefonato." Parla con me ma guarda fissamente Chiara. Fra poco la incenerirà. A discapito del sedile quasi nuovo della mia macchina quasi nuova trovata rispondendo agli annunci lasciati sulla bacheca di quello schifo di posto in cui lavoro. Ci lavoro in attesa, ovviamente, che una casa editrice scopra il mio ineguagliabile talento e mi chieda di pubblicare con loro tutti i miei futuri best seller. Anche quelli passati va'. Ma è Massimo ora il mio problema.
"Hai ragione. Non posso certo darti torto ma, cerca di ca... Ehi, un momento... ma che pupille hai?"
"Ma soprattutto, chi cazzo è quella?" Chiara è tornata in sé. Sembra indemoniata. E Laura? Mi sono distratto e l'ho persa di vista. Ricordo un'ombra che si dileguava.
"Laura!?! Dove stai andando? Aspettami! Scusatemi, ragazzi. Forse è il caso che io aggiusti prima i miei di problemi. Poi forse i vostri. Certo che non siete cambiati di una virgola voi due!"
D'improvviso, il desiderio di Chiara che mi aveva sopraffatto, ha lasciato il posto ad un lieve disgusto. Spero di riuscire a raggiungere Laura. Perché non si gira? Perché mi sto agitando? Lei non si gira ed io mi agito. Non ho mai preso in considerazione la possibilità che lei un giorno possa lasciarmi. L'idea mi fa girare la testa. Mi imbarazza. Mi spaventa.

25.
Ma cosa cazzo succede?mi sembra di essere sulla ruota del cricetino, salito su e costretto a correre e correre e correre, ma dove e dietro a chi e perche'?Dio, non ho nemmeno il tempo di chiedermelo ora, ma corro e finalmente afferro Laura per un braccio. Laura, laura, aspetta. Lei alza lo sguardo verso di me, uno sguardo triste e invece dovrebbe essere arrabbiata , cazzo se dovrebbe esserlo. Non ho forse sulla faccia i segni di una notte passata con una delle mie solite scopate da sbronza? E non era forse Chiara quella seduta nella mia macchina?Un film surreale e io il protagonista stronzo che si muove da una scena all'altra come uno schizofrenico.E lei mi guarda triste, invece di gridarmi incazzata che cazzo succede, lei, sempre cosi' dolce, sembre cosi' comprensiva, lei, Laura, che ora tiene stretto quel pacco sotto la giacca e vedo che ha un nodo in gola e non riesce a parlare.Laura...la abbraccio, voglio sentirla vicino a me, tranquillizante come sempre, generosa come sempre. Laura, sono il solito stronzo, perdonami. E non riesco a dire piu' niente.Perche' a che varrebbero ora le spiegazioni? e comunque, quali spiegazioni ci possono essere dell'assurdo in cui mi muovo stamattina? Il passato ti ripiomba addosso e ti guarda con gli occhi di Chiara e per un attimo sembra cancella re tutto il resto, ma non e' possibile. E io Laura non la voglio cancellare. So che ora devo tornare verso Massimo, verso Chiara, verso quella sconosciuta vestita da puttana che rende la scena ancora piu' surreale.La guardo, la imploro con lo sguarda di tornare con me verso di loro, solo lei puo' aiutarmi ad affrontare quella pazzia. Lei che di pazzie le accetta tutte.
Torniamo, giriamo l'angolo e vedo Massimo che inveisce come un esaltato contro Chiara, e quando vede arrivare me comincia ad inveire anche contro di me come un pazzo.Sembra fatto, come fatta e' di sicuro la tipa che sta appoggiata alla macchina e guarda il tutto quasi divertita. Chiara e li, in piedi fuori dalla portiera, una statua di marmo inespressiva, io capisco che e' il momento di dare un senso a tutto questa situazione, guardo negli occhi Laura, quasi ad avere il suo appoggio, e vado verso Massimo. Che mi creda o no, io l'ho fatta quel cazzo di telefonata per avvertirlo che ero con Chiara. E lui e' necessario che lo sappia.

26.
Massimo, rosso in volto e con la mano che sente enorme, si ferma e cerca di prendere fiato guardando Matteo che si avvicina con aria che vorrebbe fargli credere decisa, lo stronzo. Matteo fa altri due passi e dice - Massimo, io...
Un pugno di sinistro lo prende in pieno, forte, proprio sul naso. Suono di cartilagine che si rompe e sangue che cola. Massimo e' in guardia, come un pugile; la mano bendata e' ridicola ma lo sguardo allucinato sotto alla benda di traverso alla fronte non fa presagire nulla di buono. Con un urlo Teo gli salta addosso e i due rovinano a terra cercando di colpirsi. Chiara lancia uno strillo isterico alla vista del sangue mentre Sofia comincia a ridere per quei due idioti che le sembrano bambini vestiti da grandi. Si volta per andarsene quando Laura, accorsa per il trambusto, le rifila uno schiaffone da risistemarle i denti - Cazzo ridi, puttana!
Sofia passa il dorso della mano sulla bocca e di rovescio restituisce la sberla mentre con l'altra mano fruga nella borsa - Non avresti dovuto farlo, brutta vacca!
In un istante Laura si trova a fissare la canna di una pistola. Le sembra la scena di un film, di quegli orrendi sceneggiati di produzione nazionale che parlano di commesse e poliziotti. Ansima con gli occhi sbarrati e la bocca aperta fissando la pistola e non riuscendo a mettere a fuoco la donna che la impugna. Chiara si e' gelata sul posto con un urlo soffocato e l'unico rumore sono i tonfi dei due uomini che cercano di sopraffarsi a vicenda. E' un attimo in cui tutto pare sospeso e poi risuona lo sparo.

27.
Laura giace in terra, il dolore le impedisce di pensare, la mano appoggiata alla spalla gronda sangue. I due uomini restano fermi per lunghi secondi in quel loro surreale abbraccio da pugili sull'asfalto poi un grido da bestia ferita: Lauraaaaa!
Matteo si alza , ha gli occhi pesti e il naso rotto. Corre inciampando verso di lei, le si china a fianco, le tocca la testa guardandola nei suoi occhi impietriti e interrogativi: "Laura....tesoro... cosa ti hanno fatto....chiamate un ambulanza, presto!! Chiamate un'ambulanza!!!!"
Chiara afferra il telefonino dalla borsa con mani febbrili, non riesce a ricordare quale numero deve fare, cristo, le tremano le mani, ecco..."Ppronto...sì...aiuto...per favore...c'è bisogno di un'ambulanza...una donna è ferita..sì..via...Polesine...fate presto...per favore fate presto..."
Suono di pneumatici che stridono, Sofia è scappata con l'auto di Massimo.
Un capannello di persone si forma concitato e curioso attorno, ma loro non avvertono nulla, sospesi come in sogno, dove anche l'aria è solo ovatta e i suoni sembrano venire da molto lontano...

28.
L'ambulanza arriva; un medico e due infermieri scendono.

Dicono 'indietro, indietro'; Chiara si è voltata dall'altra parte; Matteo tiene la mano di Laura; Massimo si torce le mani, dopo essersi voltato un attimo dietro alla sua macchina con dentro Sofia, che scappava.

Matteo sale sull'ambulanza.

Massimo e Chiara salgono sulla macchina di Matteo e seguono l'ambulanza, suonando il clacson, quasi a dare il ritmo al lancinare della sirena.

Niguarda.

Porte che si aprono, sbattono, si chiudono. Matteo, Massimo e Chiara vengono fermati da qualcuno, un infermiere, un poliziotto fuori da chirurgia d'urgenza.

Stanno su panche di formica, zitti, ognuno sulla sua panca.

Ad aspettare.

Su un marciapiede di via Polesine, una terracotta rotta: la luna sta sul marmo del marciapede; il sole, a pezzi, è finito sotto una macchina parcheggiata.


29.
Non voleva certo che succedesse questo. Non voleva che succedesse a lei, l'unica che doveva rimanere fuori, che non c'entrava proprio nulla. Il dolore aveva superato tutto: la gioia di aver rivisto Chiara, l'odio verso Massimo e verso quell’assassina uscita dal nulla. Matteo aveva sabbia, tanta sabbia negli occhi, e una strana colla in bocca.
Laura morirà, e non c'era più nulla da fare.
Fu mentre pensava questi pensieri, mentre si immaginava cosa avrebbe potuto voler dire perdere Laura per sempre che il chirurgo usci' dalla sala operatoria spalancando la porta e scuotendo Matteo dai suoi incubi, dalla sua paura di perdere Laura. La ragazza ha perso molto sangue ma sta bene, riposa ora. L'intervento alla spalla e' stato complesso, il proiettile ha frantumato l'osso della clavicola e la sua amica avra' bisogno di una intensa terapia riabilitativa dopo il decorso post operatorio, ma se la cavera'. Ora dorme, ma penso le fara' piacere risvegliarsi con una faccia amica accanto.Lei si vada a fare un caffe' e a darsi una rinfrescata, non ha un bell'aspetto. Matteo senti quella strana colla sciogliersi in bocca e la sabbia scivolare via dagli occhi insieme alle lacrime che gli rigavano il viso.

30.
Laura ci mise diversi minuti a riprendere coscienza di sè e capire dov'era. L'odore di acqua di rose mista a disinfettante l'aggredì ancor prima di aprire gli occhi. Quando le nebbie si diradarono, sentì il dolore sotto le bende, e scoprì di non riuscire a muoversi per la debolezza. Ma i pensieri cominciarono ad entrare in circolo. E sensazioni forti, così forti da toglierle il respiro, le arrivarono addosso con la violenza di un tir.
Un viso stravolto la stava guardando con dolcezza e paura. Il viso di una persona che la conosceva molto a fondo. Con cui aveva condiviso parecchio.
Però, Laura non riusciva a ricordarsi, quel volto, di chi era.
Eppure quel profumo le era familiare.
Il calore di quelle dita sul suo viso era qualcosa che riconosceva.
Una sensazione, un ricordo, che doveva aver smarrito da qualche parte, nella sua testa, nel suo corpo, sulla sua pelle.
Ma più si sforzava di cercare meno riusciva a trovarne l'origine.

"Come ti senti?"
"Come se mi avessero fatta a pezzettini, e poi avessero cercato di incollarli tutti. Ma il risultato fa schifo. Diglielo"
Gli uscì un sorriso, liberatorio. Come se avesse finalmente potuto tirare il fiato dopo ore di apnea.
Le lo fissava, insistentemente.

Gli chiedo chi è?
Aspetto che me lo dica lui?
Eppure...i suoi occhi..

"Ci sono momenti in cui non ci sono neanche per me stesso.."

"Hai detto qualcosa?"
"No amore.."

Neanche per me stesso..
Ma quando? Dove aveva già sentito quelle parole?
Amore..Mi ha chiamata amore..
Amarti è per me la cosa più naturale del mondo, non potrei fare altrimenti..E se fossi diverso...
Mi scoppia la testa, dannazione!
"Ho sete.."
"Amore hai ancora l'anestesia in circolo..non puoi bere..Se vuoi posso bagnarti le labbra..."
Lo disse come se non avesse aspettato altro che la sua sete per poterla di nuovo, finalmente, baciare.
Si chinò sopra di lei..e iniziò a sfiorarle le labbra con la punta della lingua..
Prima sotto..poi sopra..poi agli angoli della bocca.

31.
"Si è riaddormentata"; Matteo torna nella sala d'aspetto, alle panche.
Massimo annuisce. Chiara fa un quarto di sorriso e un sospiro enorme.
"Che ne dite di andarcene a dormire tutti quanti a casa mia?".
In silenzio se ne vanno dall'ospedale. Senza dire niente tornano a casa di Matteo e si accampano in maniera meccanica: Chiara sul letto, Massimo sul divano blu elettrico e Matteo sulla poltrona davanti alla Tv.

Non riesce a dormire e accende la Tv: Tg2 notte, ma senza volume.
Si stropiccia un po' gli occhi, sorridendo perché il lettore del gobbo di turno sembra un pesce in un acquario.

Poi focalizza la striscia rossa che scorre in basso, sul teleschermo.
A un certo punto c'è scritto: "Milano: in un conflitto a fuoco con i carabinieri, dopo un breve inseguimento, uccisa una ragazza di 20 anni. Trovata droga nell'abitacolo dell'auto.

Matteo non ha nemmeno bisogno di vedere il servizio per capire di chi si tratta.

32.
-L'hai uccisa Massimo, lo sai vero? Sei stato tu! Lo sai cosa sei diventato? Un assassino, ecco cosa sei diventato! Te e quella pazza della tua amica!
-Lei non... io...io...
-Io cosa? Massimo, non puoi giustificarti, tutto è già successo, è tutto finito, sei diventato un assassino, un assassino, capisci? E come puoi pretendere che io viva sotto lo stesso tetto di uno che ha ucciso una povera ragazza? La ragazza del tuo migliore amico per giunta! Sei una persona orrenda, mi fai paura.
-Ma Chiara... io non lo sapevo...credevo che... mi ascolti?
-No, non ti ascolto più, l'ho fatto per troppo tempo. Vattene. Io resterò qui, con Matteo, qualcuno dovrà pur prendersi cura di lui dopo quello che hai fatto. Vattene, e non farti più vedere, mai più.
Chiara si volta e si allontana, Massimo cerca di afferrarle una spalla per fermarla, ma è lontana, troppo lontana.
Un tonfo sordo.
Massimo è sdraiato sul pavimento, ai piedi del divano, Chiara è avvolta nelle coperte e Matteo si è addormentato davanti alla tv accesa. E Laura... Laura è in un letto di ospedale,ferita, magari sotto sedativi, ma viva. Non è un assassino. Magari quella tizia, Sofia, chissà dov'è, con la sua macchina, magari la polizia l'ha presa. Ma lui che ci fa li? Come è arrivato in questa assurda notte milanese? Bevagna sembra su un altro pianeta adesso. Questa non sembra più la sua vita.
E che ci faccio, in bilico tra un passato che non può tornare e un futuro che non voglio affrontare?

33.
Anche per Matteo la notte trascorre lunghissima in un faticoso dormiveglia. Ad un certo punto si trova a pensare a loro tre, a come il destino o qualcosa del genere li abbia di nuovo catapultati insieme in quella casa a dividere quella notte, a come adesso siano rinchiusi ognuno nel proprio bozzolo di pensieri, motivazioni, istinti, passioni più o meno sentite. Ognuno di loro sembra sapere molto poco, appena un po' più di quello che è successo, riflette Matteo. Ognuno di loro pare mosso dal caso, incapace di agire davvero. Dovrebbe come minimo avercela con quei due, con Massimo e Chiara, pensa. Ma come al solito, non ci riesce. Quei due fanno parte della sua vita più di quanto vorrebbe: loro sono le partite di pallone fino a sera, le corse in bicicletta, le notti trascorse a parlare del futuro. Quei due non sono solo amici o rivali o possibili amanti, per quanto gli secchi ammetterlo in questo momento, quei due sono le altre facce di se stesso.

Poi la notte sembra finalmente finire ed un incerto mattino farsi strada a fatica. Appena l'ora gli sembra decente Matteo compone il numero del cellulare di Laura. Il telefono squilla a lungo, finalmente una voce risponde, l'ansia gli rompe il respiro, le parole si affollano precipitose: "Laura, sono io, Matteo, come stai?...ah, Signora, buongiorno, vorrei parlare con Laura". "Laura sta meglio, grazie, ma credo non voglia parlare con te." "Ma come non vuole...? soltanto un attimo...voglio..." "Mi dice di no" " Allora le dica che sto arrivando" " Credo sia meglio che tu non venga: non vuole vederti".

Massimo e Chiara dormono o forse no, si agitano appena, ognuno nel proprio bozzolo. Matteo apre la porta di casa ed è in strada. Prima di entrare in ospedale lo colpisce la vetrina di un negozio di fiori e gli sembra all'improvviso indispensabile non arrivare da Laura a mani vuote. Non le ha mai regalato dei fiori. Ora che ci pensa non ha mai regalato dei fiori in vita sua.
"Mi dia dei fiori..." dice al negoziante.
"E' maschietto o femminuccia?"
"Prego?"
"E' da tanti anni che faccio questo lavoro vicino all'ospedale, so riconoscere la faccia sconvolta di uno che è diventato padre, non mi sbaglio mai..."
"E invece stavolta si sbaglia." lo interrompe Matteo, brusco.
"Allora è per la fidanzata! Facciamo una bella composizione di grandissimo effetto..."
"Senta, vado di fretta, mi dia questi" Matteo indica il primo mazzolino di fiori di campo che gli capita sotto gli occhi."tanto neanche vuole vedermi più..."aggiunge come fra sè e sè.
Il fioraio dà un'occhiata al mazzetto di fiori, dà un'altra occhiata alla camicia stropicciata, al volto pallido e stravolto di Matteo, al suo naso illividito:"Questo non mi meraviglia" conclude.
Odore di ospedale, assenza di colore, gesti rallentati, atmosfera di gelo polare. Matteo è in piedi accanto al letto di Laura con i maledetti fiori in mano. La madre di lei si è dileguata e lei gli sta dicendo: “Eri stato pregato di non venire”.
“Senti, mi dispiace, non doveva succedere, tu non c’entravi niente in questa storia…”
“Appunto, io non c’entro e non ci voglio più entrare, neanche per sbaglio"
"Non riesco a non sentirmi in parte responsabile, dimmi che posso fare.."
“ Puoi lasciarmi in pace. E' evidente ormai che ostinarmi a frequentarti mi fa male alla salute e non solo a quella. Quando mi sono risvegliata dall’operazione è successa una cosa strana: per qualche momento non mi ricordavo di te, di noi, non mi ricordavo più niente. Mi faceva male solo la spalla, un dolore terribile ma solo alla spalla. Poi, piano piano, mi è venuto in mente tutto il resto ed allora è stato molto peggio”

34.
Matteo se ne stava lì, in silenzio.
Incapace di rispondere.
Come poteva spiegarle che qualcosa era cambiato in lui, e pretendere che lei ci credesse?
Lui lo sapeva che lei aveva ragione.
Che stare con lui le aveva portato solo guai.
Ma ammetterlo avrebbe voluto dire autorizzarla ad andarsene.
"Laura..lo so..tutto quello che è successo.."
"Tutto quello che è successo non c'entra niente Matti. Non è questa ferita che mi fa male.."
"Lo so..ho fatto un sacco di cazzate con te..ma adesso.."
"Non lo so cosa farai tu adesso. Non è su questo che posso fare le mie scelte. Da quando te ne sei andato, ieri, la testa ha continuato a riempirsi di frasi, immagini, ricordi. Ma..non riuscivo..a collegarli, ad ordinarli. Prima di impazzire del tutto..sono riuscita ad isolare una sensazione, l'unica che riuscivo a collegare a tutti quei ricordi. Mi sono sentita incompleta Matti, come probabilmente mi sono sentita in tutti questi anni, ed è una sensazione bruttissima. E mi sentivo incompleta ancora prima di percepire che sono innamorata di te. Era...qualcosa di...più forte."
"È colpa mia..lo so..io.."
"No Matteo, tu non sai niente. Non sai come mi sono sentita io, a vedere Chaira armata di valigie sotto al tuo portone. Non sai cosa ho provato a passare di fianco a quella biondina..e sentire che aveva addosso il tuo profumo..Non sai neanche quanto è stato difficile non chiederti mai niente, per lasciarti libero di essere te stesso. L'ho fatto per anni, ma adesso devo capire se ho la forza per continuare a farlo..e se ne vale ancora la pena. E poi..la cosa peggiore..che non sai..è cosa vuoi tu. Da me, dalla vita, da Chiara! Ma non posso essere io a dirtelo. Questa volta te la devi cavare da solo. Io adesso ho una pila di ricordi da riordinare..e tu, con i tuoi non lo so, non mi aiuti."
Matteo si sentì, per l'ennesima volta, incapace di fare quello che avrebbe voluto davvero.
Appoggiò i fiori di campo sul comodino e a testa bassa si avviò verso la porta..

35.
Le due valigie stanno esattamente dove Chiara le ha lasciate il giorno prima. Prende l'elenco telefonico e chiama la compagnia di taxi con la pubblicità più grande.
'Umbria 48 in dieci minuti'.
A Chiara sembra un messaggio del caso fin troppo chiaro.
E' una semplice conferma: deve tornare a casa, ora, sola.
Scende e il taxi è già pronto, con una pubblicità di biscotti sulle portiere, una di quelle pubblicità con le famiglie felici.
Le sembra che il caso non dia messaggi tutti coerenti.
Le valigie nel portabagagli, 'Stazione Centrale', Milano le sembra un'enorme periferia, dove il sole non se lo ricorda più nessuno.

Alla Stazione Centrale prende un cappuccino e un cornetto, praticamente acquaragia e plastica, ma almeno così sente un po' più caldo.
Prende un Intercity per Firenze, poi a Firenze farà mente locale per capire come arrivare a Bevagna.

Massimo, a casa, l'ha sentita chiamare il taxi, l'ha sentita sciacquarsi il viso, prendere le valigie, aprire, chiudere la porta; ha sentito l'ascensore arrivare, fermarsi, ripartire.
Ha sentito Chiara andare via.
E lui è rimasto, sul letto, a fissare una macchia di umidità sul soffitto.

36.
Matteo rientra e trova Massimo disteso sul letto a guardare il soffitto.
"E'andata via?" chiede.
Massimo annuisce.
"E adesso?"
"E' andata via"
"Che vogliamo fare?"
"Vogliamo?"
"Vogliamo vogliamo"
"Matteo, forse ti è di nuovo sfuggito un particolare: Chiara è mia moglie"
"Massimo, ti è sfuggito un particolare. E' scappata via da Bevagna, è venuta qua da me; ora se n'è andata. Da sola, mi sembra"
Massimo chiude gli occhi.
Sembra contare mentalmente fino a dieci.
"Sai qual è il vero problema. Il problema è che mi dovrei incazzare con te, dovrei farti a pezzi questa merda di casa, dovrei tornarmene a Bevagna e prendere Chiara e riportarmela a casa. In casa. E invece sai l'assurdo qual è: penso a Sofia"
"A chi?"
"A Sofia, la ragazza che mi ha fregato la macchina. C'ho fatto duecento chilometri in un'ora e qualcosa. Sembrava pazza, per certi versi, ma pulsava, era diversa"
"E' morta, Massimo"
A Massimo sembra mancare l'aria.
"Un conflitto a fuoco con i carabinieri. Stanotte. Dormivate"
Gli occhi di Massimo si riempiono di lacrime; cinque secondi, dieci, quindici.
Poi: "E la macchina?"
"Bo', se vuoi andiamo dai carabinieri"
"No, lascia stare. Lascia stare"
Massimo va in bagno; Matteo sente l'acqua scorrere, ma è sicuro che si tratta di un modo per coprire altri rumori.
Poi lo sciacquone.
Un altro minuto buono.
Massimo esce dal bagno.
"Voglio solo tornare a casa" dice. "Me lo dai un passaggio?"

37.
- Casello di Milano Sud
Isoradio avverte "Un chilometro di coda al casello di Milano Sud".
Massimo sembra parlare dall'oltretomba. "Ce l'hai il Telepass?"
Matteo fa: "Cazzo ci faccio col Telepass; con la macchina ci faccio casa-ufficio”
"Sei il solito inadeguato"
"Sei il solito rompicoglioni".
Si mettono in fila.
"La conosci la legge di Murphy sulle file?" fa Matteo
"..."
"In qualsiasi fila sei, la fila accanto sarà sempre più veloce".
Massimo sbuffa una risata.
"E lo conosci il corollario alla legge di Murphy sulle file?"
"..."
"Se cambi fila, la fila da cui sei uscita comincerà a scorrere più veloce della tua".
Stavolta Massimo ride.
La mano fasciata pulisce la condensa sui vetri.
Il panorama a Milano sud sembra l'emblema della pianura padana.
Prendono il biglietto quasi a fatica.
Quando hanno ripreso velocità, Matteo fa la domanda decisiva con un tono di noncuranza: "Ma cos'è successo con Chiara? Se puoi dirmelo, ovviamente"
Massimo guarda fuori, si guarda la mano fasciata, poi fa:
"Quando manca a un cazzo di Autogrill, che mi viene da pisciare"

- Piacenza Nord
Tra Casal Pusterlengo e Piacenza Nord si fermano all'Autogrill.
Matteo fa il pieno; Massimo va a pisciare.
Ancora nel bagno prova a chiamare sul cellulare Chiara, ma trova la registrazione del terminale spento.
Scrive un sms: sto tornando a casa con Matteo; sta per inviarlo, ma poi decide di cancellare "con Matteo.
Ci pensa su un altro attimo, poi gli sembra troppo freddo.
Massimo torna alla macchina, dopo aver archiviato l'sms.
Quando sale in macchina, Matteo gli fa: "Cazzo, l'hai inondato il bagno"
"Stronzo".
Sul ponte sul Po, Massimo saluta la Lombardia.
Strizza gli occhi: "Non me lo ricordo nemmeno più"
"Cosa?"
"Il motivo dell'ultima litigata. Non me la ricordo più."
"..."
"Un paio d'anni fa litigammo per la storia dei figli; non che ne volessimo, ma mia madre e sua madre ... sembrava la santa alleanza. Una sera venne mia madre, mi fece un pistolotto che nemmeno un prete. 'Ma tra un po' Chiara fa 32 anni, forse è il caso di pensarci sul serio' Sai, queste frasi così. Poi a un certo punto mamma mi dice 'Altrimenti che vi siete sposati a fare?' Quando è tornata Chiara, prima che aprisse bocca, quella sera, l'ho guardata e mi sono fatto anch'io la stessa domanda".

- Tra Parma e Reggio Emilia
Subito dopo Piacenza è tornato un silenzio, grigio quanto la pianura a febbraio.
Dalle parti di Parma, davanti alle pareti della Barilla, Matteo mette la mano nella tasca dello sportello, ci tira fuori un cd e con qualche difficoltà lo toglie dalla custodia e lo infila nella fessura di competenza.
"L'ho scaricato da internet: ho leso la legge ma, vaffanculo a Urbani, ne valeva la pena".
Le prime note sono un colpo al cuore per Massimo.
Pat Metheny. La colonna sonora di Fandango.
L'avevano visto insieme un sabato sera in cassetta, Matteo, Massimo e Chiara.
Forse c'era pure qualche altro amico, ma non importava, perché era la loro storia.
Anche loro erano amici, amici sul serio, mancava solo Dom; Chiara si sarebbe sposata con Massimo, ma l'ultimo ballo a fazzoletti incrociati, Matteo e Chiara, lo dovevano fare.
Erano usciti, in piazza, e avevano fatto le due di notte e avevano fatto i conti di quegli ultimi anni. Alla fine, con Pat Metheny ancora nelle orecchie, Chiara aveva abbracciato Matteo, forte, con gli occhi chiusi, lì davanti a Massimo.
L'addio.
Matteo sarebbe partito per Milano un paio di mesi dopo.
Ora Massimo fissa la linea di mezzeria e sente che anche il cuore va a intermittenza.
"Ti prego, accosta" dice Massimo quasi in un rantolo.
Matteo si ferma.
Massimo apre lo sportello, come andrebbe fatto per vomitare.
Invece scoppia in un pianto dirotto, da bambino.

- Modena
Fa buio attorno allo svincolo con l'Autobrennero.
Sono ripartiti e il silenzio si è fatto quasi necessario.
Massimo dice un paio di parole, mezze parole e mezze lacrime: "E Laura? Che succederà?"
"Laura... Cavolo, quante sono le famiglie che da Bevagna sono venute a Milano negli ultimi 30 anni? Due? Tre? Laura stava a Milano da prima di me, ti ricordi?"
"Sì"
"Ecco, sai dove l'ho incontrata? A San Siro, prima di un concerto di Vasco. Eravamo gli unici due che non stavamo fumandoci una canna, su quel cazzo di prato"
"Erba su erba"
"Erba su erba, giusto." Fa gesti larghi con le mani. "Eh ciao, Laura , Matteo, che combinazione di qua, che caso di là. E ci dobbiamo vedere. E ti ricordi di questo, di quello. Massimo, Chiara, ovviamente. Insomma tempo un paio di settimane e in un momento di spleen, di nostalgia per il paesello, la chiamo davvero."
Matteo sembra un attimo indeciso.
"Hai in mente quella sera, quando io e Chiara ci siamo abbracciati in piazza?"
"...", cazzo se me la ricordo, pensa Massimo.
"Ecco, era chiaro come il sole che vi sareste sposati. Beh, è chiaro come il sole che io e Laura ci sposeremo"
Massimo fa per parlare, ma Matteo lo anticipa.
"Sì, adesso lei, sua madre, mi hanno cacciato e come dargliene torto; si è trovata davanti Chiara con le valigie e deve aver visto pure quella troietta della sera prima"
"Sì ma..."
"Ci sposeremo, perché lei non è una ragazza, è una moglie, di quelle fedeli e dedite. E' una mamma, di quelle delle pubblicità, che fanno le torte e che sorridono sempre. Certe volte mi si mette a fissare con un sorriso ebete, tipo le synchronette quando escono dall'acqua. Sembra bearsi, di me, figurati"
Dieci secondi per raccogliere le idee e un tono più deciso: "E' banale: io non mi sento pronto, non mi sento, come dire, grande abbastanza per questo diavolo di passo. Mi sembra un passo che mi avvicina alla morte, invece di qualcosa che mi dovrebbe fare felice".
Massimo tamburella con le dita della mano fasciata sul vetro della portiera.
"Direi che bene o male, almeno uno di quelli che sta alla stazione una cazzo di direzione l'ha intuita..."

- Area di servizio di Cantagallo
"Senti, vorrei fermarmi prima degli Appennini"
"Se vuoi guido un po' io"
"Ma va là, con la mano che ti ritrovi..."
"Vabbè, fregati..."
Matteo svolta verso l'area di servizio di Cantagallo.
Stanno per fermarsi quando Massimo fa: "Qui ho caricato Sofia; cioè qui ma dall'altra parte"
"..."
"Mi ha fatto fare il primo tiro di coca della mia vita, mentre andava a duecento sulla corsia di sorpasso. Passava il tempo a tirare su col naso e a azionare gli anabbaglianti. Ma, lo so, ora non serve a un cavolo... era, che contraddizione, era viva, molto più viva di tutti noi. Parlava del mercato della coca di Milano con una spigliatezza e una gioia, che sembrava parlasse di una festa di compleanno.
E poi, e poi aveva un viso fresco, ventun anni a ottobre, diceva. E mentre guidava, la gonna si era alzata, mezza coscia, più su, delle bellissime gambe da bambina cresciuta. Allora mi fa 'cazzo togli quegli occhi dalle gambe'. E io 'non è colpa mia, se la gonna si tira su', e lei 'Cavolo, sembra che non vedi una donna da un secolo'. E io 'fai conto che sono un marinaio che è un anno che fa la traversata in solitaria'. ' Ueh? mi fa lei, ' ma nel posto da cui vieni i porno li danno?'. Insomma era un tipo così, diretto, era sboccata, ma con allegria".
"La sboccata con allegria aveva una pistola, ha sparato a Laura, ti ha fregato la macchina e, dulcis in fundo, è crepata in un conflitto a fuoco coi carabinieri. E' morta, defunta, kaputt." la voce di Matteo è un misto di compatimento e di astio.
"Ma lo sai che sei uno stronzo"
"No, sono solo realista"
"Per che cazzo ti eri fermato, stronzo?"
"Un cavolo di caffé di merda, che mi hai fatto andare di traverso prima di prenderlo"
"Vallo a prendere e ti potessi strozzare. Cazzo, bell'impresa fare la morale postuma a una persona".
Matteo scende e sbatte lo sportello con calcolata potenza.
Massimo tira giù il finestrino: "Con 'sta storia delle stazioni hai rotto i coglioni, stronzo".
Matteo, di spalle, alza il medio della mano destra e va verso l'autogrill.

38.
Massimo cerca una stazione radiofonica sull'autoradio, poi appoggia un braccio al finestrino e guarda fuori, alcuni camionisti a mangiare panini, qualche auto alla pompa di benzina.
Gli vengono in mente gli altri viaggi che avevano fatto insieme, quando la macchina puzzava di fumo ed era piena di briciole e sacchetti. La Costa Brava per esempio. Per due che vivevano a Bevagna quello era il paradiso. I Viaggi per la Figa, li chiamavano così e poi non rimediavano mai un cazzo. La musica spaccava le casse e non importava niente allora, soltanto una birra, una macchina e una linea di mezzeria. Basta poco per sentirsi liberi. Poi tornavano cotti di sole a fare i buffoni al paese e a fischiare alle ragazze del supermercato. Matteo era stato un fratello per lui, l'amico delle cazzate e quello delle pacche sulla spalla. Gli doveva molte cose. Poi era arrivata Chiara .....
Massimo rabbrividisce, il sole sta tramontando e il vento è gelido, tira su il finestrino.
Matteo rientra in macchina, si strofina le mani "fa freddo". Poi tira fuori una tavoletta di cioccolato: "Tieni".
"Che è?"
" Ti piace fondente no?"
"Grazie Stella". Massimo lo chiamava così quando giocavano a fare le checche e tiravano fuori la lingua in modo osceno e si schiantavano dal ridere.
"Coglione..." Matteo ingrana la marcia e scuote la testa. Un sorriso gli allaga la faccia.

39.
È chiaro come il sole che io e Laura ci sposeremo..
Matteo ripensava a quella frase.
Come gli era uscita?
Lui e Laura non avevano mai parlato di matrimonio.
E, a pensarci bene, Laura non gli aveva mai fatto una torta.

Non sono pronto, no..per niente.. pensava.
Eppure..le poche volte in cui aveva davvero lasciato che Laura entrasse nella sua vita..si era scoperto felice, sereno.
Un serenità da cui, immediatamente, fuggiva.
Perchè..?

Gli vennero in mente i baci di Laura..
Le sue labbra..così perfette..e quella sua capacità di mandarlo in estasi sfiorandogli il collo...passandogli le mani tra i capelli..
Un brivido lungo la schiena.
E la netta sensazione di qualcosa che manca.
Qualcosa di importante. Di bello.

Massimo canticchiava insieme alla radio, Matteo tamburellava le dita sul volante tenendo il ritmo.
Ma nessuno dei due avrebbe saputo dire che canzone stavano ascoltando.
Massimo pensava a Chiara.
Matteo pensava a Laura.
Entrambi incapaci di prendere davvero in mano i loro pensieri.

"Perchè roviniamo sempre quello che di bello ci troviamo tra le mani?"
"Perchè siamo due pirla.."
"Parla per te.."
"Io almeno non mi sono sposato!"
"Bella roba..Hai forse concluso qualcosa di meglio?"
"Se non altro risparmio i soldi dell'avvocato per la separazione.."
"E chi ti dice che divorzieremo? Sei davvero sicuro che Chiara non tornerà?.."

No.
Matteo non ne era sicuro.
Quando se l'era trovata davanti alla porta, valigie in mano e occhi gonfi ci avrebbe giurato.
Per un attimo aveva visto la loro storia ricominciare e, finalmente, realizzarsi.
Ma ora non lo sapeva più. Erano successe troppe cose..Laura, Sofia..e questo viaggio con Massimo, che sembrava fatto apporta per chiarirsi le idee a vicenda..

E poi..era davvero quello che voleva?
O era stupido orgoglio maschile?
Perché lei..lei aveva scelto Massimo..il suo migliore amico.
E ogni volta che dalla città pensava al paesello non poteva fare a meno di mettersi di fronte ai propri limiti.
A quello che non aveva saputo essere. A quello che non era stato capace di dire, di fare.

Se fossi stato diverso..Chiara avrebbe scelto me..!
Ma lui non era diverso. Me lo diceva sempre Laura.."Tu sei così..Chi ti vuole deve prenderti come sei.."
E Chiara voleva un marito.
Lei non se ne rendeva conto, ma era così.
Per questo alla fine aveva scelto Massimo.
E Matteo si era congratulato sinceramente con loro, quando gli avevano dato la notizia.
E allora perché era tornata indietro?
"Secondo te Chiara ti ama ancora?"
"Sì..credo di sì...Credo che stia solo scappando. Ma non da me...Forse da se stessa. Forse da uno stereotipo di moglie che le hanno incollato addosso e che non sa sostenere. Siamo anche stati felici.. io e Chiara.."
Lo disse come per convincere Matteo. Per dargli un motivo in più. Un motivo in più per non rovinare tutto.
Lo stava pregando. In nome della loro amicizia.

40.
- Roncobilaccio

Squilla il cellulare di Massimo.
Lo prende con la mano fasciata, gli cade, bestemmia, lo raccoglie: "Cazzo", poi risponde.
"Sì"
...
"Sto con Matteo, in macchina" scosta il cellulare dalla bocca. "Mattè, dove cazzo stiamo"
"Roncobilaccio"
Riprende il cellulare: "A Roncobilaccio... sì ... una mezz'oretta forse ... d'accordo ... va bene, va bene ... spero di no. A dopo, ciao"
Riattacca, fa un sospiro piuttosto profondo, poi:
"Era Chiara"
"L'avevo capito"
"Sta a Firenze, alla stazione; la cugina che doveva venire a prenderla ha dato forfait. Cose di ospedale. Ci chiedeva se possiamo passarla a prendere. Io gli ho detto di sì. Mi ha chiesto se per te ci sono problemi se la riaccompagniamo a Bevagna e io..."
"E tu gli hai detto 'spero di no'; bello 'st'effetto viva voce in differita"
"Stronzo"
"Fantastico... a te in qualche modo ti reggo; ma tutti e due?"
"Stronzo"
"Disco rotto?"
"DJ dilettante"
Superano il valico e entrano in Toscana.
"Stavo pensando, Massimo: se vuoi mi lasci alla stazione, poi prendi su Chiara e tornate voi due a Bevagna. Io magari torno a Milano in treno"
"E la macchina?"
"Me la riporti uno dei prossimi week end"
"Mah, ora vediamo"
La discesa sembra a Matteo molto peggio della salita; va così piano che i Tir gli lampeggiano e un paio lo superano.
Si sente stanco, di quella stanchezza che nasce solo per i gesti inutili.

41.
Nella corsia dell'ospedale il tempo sembra ripetersi con monotonia e le ore scorrono lente. Nessuno parla ad alta voce, per non disturbare gli altri pazienti.
Solo, ogni tanto, si vede una lucetta che si accende nel corridoio e si ode lo sciabattare veloce dell'infermiera che va a controllare se c'è un'emergenza.
Talvolta, invece, la lucetta lampeggia a lungo, prima che l'infermiera di turno si degni di staccare gli occhi dalla soap opera preferita e decida di alzarsi...
Laura sente pulsante il dolore alla spalla. Si trascina da ore in un dormiveglia agitato e vorrebbe svegliarsi da questo lungo incubo. Ha mandato la madre a riposarsi un po' a casa e ora si sente sola.
- Dovevo mandarlo via, dovevo! - pensa.
Eppure non riesce a fermare le lacrime, al pensiero che lui se ne sia andato, senza provare ad insistere per restare.
- Non voglio passare i miei giorni a rincorrerlo. Basta. Non ne posso più. Io così non sono felice... Basta! - e rinizia a singhiozzare.
Apre gli occhi e osserva con tenerezza il mazzolino di campo che gli ha portato Matteo.
- Tesoro... da solo non è capace nemmeno a scegliere dei fiori...
Ecco nuovamente quel senso di nausea.
Laura vuole credere che sia effetto delle medicine che le hanno somministrato, ma ormai è da diversi giorni che questa sensazione non la abbandona...
Ha paura. Di confessarselo. Di prendere decisioni. Di crescere.
Eppure lo sente. Che qualcosa in lei sta già cambiando...

42.
Laura ripensa a quel prato.
Prima del concerto.
A quel viso familiare in mezzo a 110.000 persone.
Eravamo gli unici due che non stavamo fumandoci una canna, su quel cazzo di prato..
"Matteo..che combinazione! Cosa fai qua?"
"Quindi anche tu ora vivi a Milano.."
"Dai..ti lascio il mio numero..chiamami..Ci dobbiamo assolutamente vedere!"
Poi i giorni erano passati.
Per un po' aveva aspettato.
Alla fine si era rassegnata.
Pazienza..
Le avrebbe fatto piacere parlare con qualcuno del suo paese.
Certo, a Milano aveva trovato lavoro, amici, un appartamentino che era una favola..ma sentirsi a casa era un'altra cosa.
Una sera, cena a casa di Giovanni.
Un tipo molto carino che stava frequentando da qualche settimana.
Squilla il cellulare..
"Pronto? Matteo? Accidenti, sì! Ce ne hai messo di tempo a chiamarmi! Quando? ..Sì..segnati il mio indirizzo.."

Me la ricordo ancora la faccia di Giovanni.
Un mese di corte serrata, finalmente cedo..e lo pianto per l'ultimo arrivato.
Dovrò chiamarlo uno di questi giorni, appena sarò di nuovo presentabile.
Non gli ho mai chiesto scusa per quella sera..

"Vai pure La'..anche se ti chiedessi di rimanere non lo faresti..Ormai ti ho capita..Non ti preoccupare, la pasta la metto in frigo e domani la riscaldo. Ti ho mai detto che adoro la pasta riscaldata?"
Ricordare quella frase le strappò un sorriso.
Matteo. Se ne era andata per Matteo.
Rimpianti?
Neanche l'ombra.
Aveva fatto quello che voleva.
Stare con Matteo e starci bene.
E le era riuscito parecchie volte.

Sempre la stessa storia.
Che Matteo fosse innamorato di lei era una certezza.
E neanche lui avrebbe potuto negarlo.
Ma quando se ne rendeva conto..quando..in quei momenti..lui si fermava un attimo..e lo sentiva..
In quei momenti la guardava negli occhi, cercando di dirle tutto e niente, senza parlare.
E lei ascoltava i suoi occhi.
E ci credeva.
E aspettava.
Convinta che prima o poi quelle parole sarebbero uscite.
Convinta che, nel frattempo, gli occhi di Matteo riuscivano a darle tutto quello che lei voleva.

Mi basterebbero ancora, adesso, i suoi occhi?
Se non ha parlato fino ad oggi non parlerà più..
Forse è ora che la smetta di aspettare..
Come canta Vasco..
"Io non ti aspetto più.."
Guardò fuori dalla finestra.
Ma da lì l'autostrada non si vedeva..

43.
- Stazione di Firenze Santa Maria Novella

Quasi le sette di sera e ha cominciato a piovere.
Matteo sta impazzendo sui viali di Firenze cercando di finire, anche per caso, alla stazione.
"Come guida Chiara?" chiede
"Come la nonna paralitica di Nuvolari"
"Ho capito" sospira Matteo; "tu sei Muzio Scevola, lei è la gioia delle assicurazioni; mi tocca portarvi io a Bevagna"
Massimo annuisce quasi impercettibilmente.
Riescono ad azzeccare la piazza della stazione.
"Dove ha detto che ci apettava, Chiara?"
"Boh, aspetta che chiamo..."
Massimo fa il numero al cellulare.
"Chiara, dove sei? ... Guarda, noi accostiamo" fa cenno a Matteo di fermarsi "stiamo sotto le tetta destra di Megan Gale ... porca vacca è una cavolo di battuta ... chiama un taxi, allora ..."
Matteo sente le urla di Chiara uscire dal cellulare di Massimo; se la immagina davanti alla biglietteria con le valigie per terra, rossa per la tensione.
"Ok ok stiamo qua"
Massimo riattacca: "L'ho convinta, arriva"
"Certo che la battuta su Megan Gale era fuori luogo" ride Matteo.
"Cazzo già la tensione sta a mille, se non posso sparare una stupidaggine ogni tanto, come usciamo da 'sto casino".
Matteo tamburella con la mano sul vetro; Massimo cerca di guardarsi intorno, ma il suo vetro si sta appannando.
Una mano bagnata bussa al vetro di Matteo.
Massimo si getta fuori dalla macchina e apre lo sportello posteriore a Chiara, poi carica le valigie nel portabagagli.
Chiara, coi capelli bagnati appiccicati alle guance, rossa per il freddo di sera di febbraio, entra in macchina.
"Cazzo, siete due imbecilli: un cretino che ci arrivasse al fatto che piove e c'ho due valigie".
Chiara respira in maniera quasi fragorosa; il resto, sui sedili davanti, è un silenzio imbarazzato.

In un mezzo rantolo Matteo dice un "si va", con un tono freddo, come quello del pilota di un aereo che annuncia la temperatura a terra.

44.
- Incisa

Per uscire da Firenze ci hanno messo un'ora.
Un'ora passata in silenzio, interrotto da qualche indicazione logistica, tipo 'Ecco il cartello', 'Là è senso vietato'.

Finalmente in autostrada, cala un silenzio vero, di ghiaccio: Matteo si sente un intruso, Massimo sembra particolarmente concentrato sulla fasciatura e Chiara fa finta di dormire.
Un chilometro prima dell'uscita di Incisa squilla il cellulare di Matteo.
"Meglio che accosti, dai" lo invita Massimo.
"Sì ... ciao ... sto riportando a Bevagna Massimo ... penso domattina stessa ... dai, appena torno, passo lì in ospedale e parliamo ... no, non lo so, si sono sentiti, penso ... va bene, a domani, ciao. Riposati"
Matteo spegne il cellulare.
Passa un attimo, poi Massimo ho finito di fare mente locale.
"Era Laura, vero?"
"..."
"Era Laura, vero?"
"Sì"
"Perché non gli hai detto che Chiara sta in macchina?"
"In che senso?"
"Gli ha detto 'penso che si sono sentiti', giusto?"
"Sì"
Massimo annuisce, poi fa:
"Sei il mio autista preferito"

Chiara dorme o finge di dormire piuttosto bene; Massimo ha la sensazione che la telefonata di Laura metta qualche ingranaggio a posto e guarda sua moglie raggomitolata sul sedile posteriore, la testa sul Barbour appallottolato.
Sembra serena.

45.
- Area di servizio di Badia al Pino

"Forse è il caso di mangiarci qualcosa. Non so se è più fame o sonno", dice Matteo sottovoce al cartello che indica 2 km all'area di servizio di Badia al Pino.
"Ok, magari scendi solo tu, che io sto qui con Chiara".
Si fermano.
Matteo scende e entra nel bar; Massimo si volta verso Chiara, nel momento in cui sbatte le palpebre.
"Dove siamo?" dice la sua voce impastata dal sonno.
"All'autogrill, quello dopo Arezzo"
"Matteo?"
"E' andato a comprare qualcosa al bar. Tu, come stai?"
"Lascia perdere"
Chiara si mette seduta, rotea la testa per far scrocchiare le vertebre del collo.
Massimo si guarda la fasciatura, poi si gratta una spalla.
Chiara prende il cellulare dal Barbour e lo riaccende.
Il cicalino di accensione del Nokia dà a Massimo una sensazione di quotidianità, la sua, che gli sembra insopportabile.
Chiara rimette il cellulare nella tasca del giubbotto.
Massimo guarda l'orologio; lui e Chiara gli sembrano due estranei in ascensore che devono trovare qualsiasi espediente per evitare di andare oltre il grugnito del saluto.
In quel momento Matteo torna con tre panini e due coche.
"Per evitare discussioni, ho preso 3 Fattoria. Le coche sono per inocularci la caffeina, ovviamente".
Scartano i panini, mangiano e bevono in silenzio.
Poi Matteo raccoglie carte e bottiglie vuote e le va a gettare nel cestino.
Torna in macchina, apre il finestrino e fa: "Ve lo ricordate Don Bairo?"
"Chi?" chiede Chiara
"Il prete del catechismo; mi sembra che si chiamasse Don Urbano o qualcosa del genere, ma lo chiamavamo Don Bairo. C'era la pubblicità dell'Uvamaro quando andavamo al catechismo"
Fa una piccola pausa.
"Una volta, al catechismo, io gli chiesi ... oppure Massimo gli chiese ... a quei tempi eravamo praticamente intercambiabili; insomma gli chiedemmo 'se Dio sa tutto, sa già se sarò buono o cattivo, se andrò in Paradsio oppure no'. E Don Bairo, c'aveva una cadenza toscana: 'te, tu c'hai il libero abritrio'.
E ci spiegava che il destino ce lo scegliamo da noi, anche se Dio lo conosce già.
A me, allora mi sembrava una stupidaggine. Poi, vi ricordate quella sera in piazza, dopo Fandango.
Ecco là mi sembrava che potevo solo andare via: a Bevagna, in paese, il libero arbitrio non c'è. Le cose vanno come devono andare.
Pensavo che in città avrei potuto scegliere: più persone, più occasioni, incontri, soldi, vita vera.
Invece il mio libero arbitrio si è ridotto a farmi qualche biondina di passaggio, che si sveglia la mattina dentro al mio letto e non mi ricordo neanche come cazzo si chiama".

46.
Sto male.
Mi fa star male.
Ma l'unico modo per capire è essere diretti una volta per tutte.
Vedere Chiara e Massimo forse è stato un bene, un modo per guardare in faccia i fantasmi e capire se spariranno per sempre o si faranno carne e sangue>.

In ospedale c'è silenzio. Dormono quasi tutti. Anche i campanelli.
Rimangono solo l'odore di disinfettanti e Laura con i suoi pensieri, per una volta finalmente lucidi. Emotivamente lucidi.

Si domanda come mai non abbia mai chiesto a Matteo di fare una scelta. Perché l'abbia sempre accettato così. In amore è bello accettare l'altro così come è.
Ma è altrettanto bello e necessario chiedere ciò di cui si ha bisogno.
Ed ora Laura ha finalmente deciso di farlo.
Quando vedrà Matteo gli chiederà conto degli anni che hanno speso insieme.

Ma sopratutto di quelli che devono ancora arrivare.

47.
- Tra Perugia e Foligno


In macchina c'è un'aria viziata, da ore di viaggio, sudore e silenzio.

Poco dopo Perugia Massimo si addormenta, la testa appoggiata alla mano fasciata.

Matteo oramai guida sotto gli ottanta all'ora, un po' perché la superstrada gli sembra più ostica dell'autostrada, un po' perché si sente spossato.

A un certo punto il "Matteo" di Chiara è quasi un sussurro.
"Sì"
"Penso di avere fatto una cazzata enorme"
"Quale?"
"Intendi quale delle tante?"
"Intendo quale, ora"
Chiara si tortura un ciuffo per cercare le parole.
"Il fatto che sono venuta a Milano. Non avevo diritto di irrompere nella tua vita, in quel modo ... con le valigie ... senza uno straccio di telefonata"
"Quando ti ho visto penso di essermi sentito come un malato a Lourdes che è stato miracolato"
"Figurati"
"Non scherzo. Pensa che per quante volte l'avevo sperato, quando ho aperto la porta mi è sembrato di avere un déjà vu"
"Favoloso... comunque è stata una cazzata"
"Quindi non così enorme"
"Non scherzare. E' che ... certe sere, Massimo si addormentava dopo giornate desolanti, inutili. E pensavo che rispetto a molte mie amiche che non avevano nemmeno un lumicino di speranza, chiuse a Bevagna o a Foligno, con un matrimonio, i figli, la gente che parla, un lavoro che non ci arrivi manco a fine mese, io stavo meglio. Perché, io, quelle notti pensavo che c'eri tu: avevo la speranza che se un giorno non fossi riuscita più a tollerare la mia situazione, la mia realtà, avrei potuto fare le valigie e venire da te, a Milano"

"E l'hai fatto"

"E, come vedi, non è servito. Sto tornando a casa... e neanche un minuto di questi ultimi giorni è stato come avevo immaginato."

Chiara poggia la mano sulla spalla di Matteo; Matteo prende la mano di Chiara e prima l'accarezza con il pollice, poi sta per portare la mano di Chiara verso le labbra.

Massimo, in quel momento, tira su col naso, cambiando posizione.

Matteo caccia un sospiro di petto.
Chiara appoggia la schiena sul sedile.

La notte di febbraio è un muro nero; le poche macchine illuminano la campagna dell'Umbria, per una volta sterile e spettrale.

48.
- Bevagna

Quando arrivano a Bevagna ha ripreso a piovere.
Arrivano sotto casa di Massimo e Chiara.
"Bevagna, stazione di Bevagna" Matteo imita la voce distorta dell'altoparlante.
Massimo si sveglia; Chiara si scuote.
Matteo scende dalla macchina, apre il portabagagli, prende le valigie di Chiara e le porta accanto al portoncino stile georgiano.

Massimo scende un po' a fatica.
Matteo gli fa: "Fatti dare un'occhiata a quel taglio; la fasciatura te l'ha fatta un dilettante".
Chiara guarda Matteo, guarda i tre nei sotto l'occhio come se se li dovesse stampare nella memoria in modo defintivo.
Massimo e Matteo si stringono la mano, quasi un high five.
Due baci rapidi sulle guance tra Matteo e Chiara.
"Sicuro che non vuoi buttarti un attimo sul letto?" fa lei.
"No, grazie. Voglio provare a ripartire; magari mi fermo a quel motel dopo Perugia".
Matteo guarda il selciato un attimo e poi: "A questo punto dovrei dire la frase storica, ma non mi viene niente. Anzi una me ne viene in mente. Massimo, abbi cura di lei, è speciale".

49.
- Aspetta, lascia fare a me... - Mentre la macchina di Matteo si allontana, Massimo prende tutte le valigie e, contemporaneamente, cerca di aprire la porta. Nell'armeggiare con le chiavi, gli cadono di mano... Chiara dà un ultimo sguardo alla strada, poi si china, prende le chiavi da terra e guarda suo marito, impacciato come le prime volte in cui uscivano insieme. Lo guarda. E lo vede per la prima volta dopo tanti mesi. Lo guarda. E finalmente sorride.
- Massi?
- dimmi
- grazie...
Massimo alza gli occhi e vede quelli di lei che brillano. Sorride di rimando.
- Ti amo Chiara. Non so stare senza di te... Scusami...
- Scusami tu. A volte mi sembra di non essere mai cresciuta. Volevo cercare altrove la felicità che non trovavo in me. Avere un'altra chance, un'altra vita... Ho fatto una cazzata. Scusa...
- Non dirlo nemmeno. E' colpa mia... mmm... Senti, io non ti prometto che d'ora in avanti sarà tutto semplice. Ma voglio provare a stare con te. A starci davvero. Ad ascoltarti. Ad amarti. A venirti incontro. Chiara... ehm... - e si inginocchia - Chiara, vuoi sposarmi?
Chiara scoppia a ridere - ma siamo già sposati!
- dimmi di sì... ti prego...
- mmm... sì, lo voglio.
Massimo sorride ancora, si alza in piedi, prende il viso di Chiara tra le mani e avvicina le sue labbra a quelle di lei in un dolcissimo bacio. Poi abbandona le valigie a terra, la prende in braccio e di nuovo insieme, come una coppia di sposini, solcano l'uscio...
- ecco, la nostra seconda chance!

50.
- Motelagip di Perugia

Matteo guarda il soffitto della stanza del motel e afferra il motivo per cui l'aggettivo più ricorrente per motel è squallido.
Ha fatto una doccia così calda da spellarsi vivo.
Poi si è accorto che non ha pigiama, né ricambio e se ne sta avvolto in un asciugamano che ha avuto cura di non bagnare.
'Laura.
Chissà cos'è che deve dirmi.'
Dentro gli occhi, prima di addormentarsi, alle quattro di notte, ormai, il viso di Laura, irradiato dalla sorpresa, al concerto di Vasco.

Alle sette e mezza è in piedi.
Si rimette i vestiti impregnati di sudore e di pioggia di febbraio.
Pensa di chiamare Laura, ma poi, vista l'ora, decide che probabilmente la sveglierebbe.
Si guarda nello specchio incrinato dell'armadio e ci vede, finalmente, l'uomo che da bambino aveva immaginato di diventare.
Chiude l'armadio.
Prende il cellulare.
Un sms a Laura: "Amore, sto tornando a casa"

51.
Toc toc..
"Dormivi?"
"No, tenevo gli occhi chiusi per guardarmi le palpebre da dentro..."
"Ho scelto il momento sbagliato? Se vuoi ripasso più tardi.."
"Scherzavo dai, entra.."

Ha sorriso. È un buon segno..

"Dove li appoggio?"
"Gigli?"
"Sì..beh..ho chiesto consiglio alla fiorista. Dopo l'ultima volta mi pare di aver capito che i fiori di campo non sono i tuoi preferiti.."
"Non è vero..erano belli.."
"Sì..ma non erano abbastanza.."
"Già..non abbastanza"

Ahia..brutto segno?

"Già.."

Come per dire...Hai ragione. Lo so. Lo so che non erano abbastanza..

"Come stai? Ti fa ancora male la spalla?"
"Un po', quando faccio certi movimenti..Ma domattina mi dimettono. Poi dovrò fare un po' di riabilitazione ma.."
"Sì..beh..certo.."

Laura si rese conto che Matteo non la stava ascoltando..

"Chiara?"

Ecco..adesso mi ascolta..

"L'abbiamo riaccompagnata a casa.."
"Tu e chi?"
"Io e Massimo.."

Laura si voltò a guardare il soffitto, come fosse lo schermo di un cinema..

"Mi sembra di vedervi..Voi tre in macchina. Come ai vecchi tempi.."
"No..era tutto molto diverso questa volta..Noi siamo diversi. E ce n'è voluto di tempo per rendercene conto. Continuavamo a vivere di quello che eravamo ieri. Ci siamo convinti che questo avrebbe risolto tutti i problemi, placato le ansie, chiarito i dubbi..Ma non è così. Siamo cambiati in questi anni e ancora non avevamo capito che era stata la nostra fortuna..e la nostra più grande occasione..
Non è stato affatto un viaggio spensierato. Sai..c'erano dei momenti in cui nessuno di noi tre sapeva cosa dire. L'aria era come congelata. Sembrava avessimo paura di rompere quel silenzio irreale.."
"Quindi non avete parlato?"
"Quanto basta. Credo che tutti e tre ci fossimo illusi di poterci chiarire le idee a vicenda. Chiara se lo aspettava da me, Massimo da Chiara.."
"E tu?"
"Io pensavo che quei due, alla fine, avrebbero deciso anche per me. E io mi sarei lasciato scegliere. Poi ho capito che era solo con me stesso che dovevo chiarirmi. E allora mi sei venuta in mente tu. Una volta..due volte..e ho pensato che doveva pur dire qualcosa..."
"Già..solo che non ti riesce mai di capire cosa.."
"E invece questa volta l'ho capito...Vuol dire semplicemente che ti amo. E adesso so che questa è la mia fortuna..e la mia più grande occasione.."

Laura non sapeva più cosa dire..cosa rispondere..
Non era preparata a questa eventualità.
Continuava a guardarlo negli occhi alla ricerca di qualcosa..Un'ombra..una luce..Qualcosa che le desse la certezza che quello che Matteo stava dicendo era vero. Oppure era falso..Bastava una certezza qualsiasi.

No no no..e adesso? Mi ero preparata tutto un discorso..che volevo di più..che se lui non poteva darmelo allora mi sarei presa il diritto di cercarlo altrove..che dovevo pensare a me..Matteo io ti amo..ma amo anche me stessa e tu non...E poi adesso...

"Non dici niente..?"
"Aspetto un bambino.."

Matteo deglutì così forte da farsi sentire in tutta la stanza.
"E adesso..? Sei ancora della stessa idea? Pensi ancora che sia una fortuna?"

Ma lui ormai era convinto.Convinto davvero.
Non per Laura, non per il bambino che stava arrivando...ma per se stesso.

Se mi lascio scappare una così...io sono un pazzo..

Diglielo..

"Lo penso ancora..Sarei un pazzo a lasciarmi scappare una come te..."
"Sì..ma..Matteo..ti ho sppena detto che aspetto un bambino.."
"Posso scegliere io il nome?"
"E come lo chiameresti?"
"Beh..se è maschio...Jacopo.."
"Jacopo?!? Ma non se ne sta neanche a parlare!"
"Eh..suggeriscine uno tu allora..!"
"Manuel.."
"Manuel?!? Ma è un nome da checca!!"
"Mio fratello si chiama Manuel!!!"
"Ah già..Appunto..Uno in famgilia basta e avanza!"
"E se nasce femmina?"
"Anna.."
"Non ci pensare nemmeno..è il nome di una tua ex!"
"Davvero?!? Santoiddio...nemmeno me la ricordo!"
"Me la ricordo io, me la ricordo!"
"Ma com'era..? Bionda?"
"Rossa..era rossa..Ma come fai a non ricordartela..portava la 5° di reggiseno!!!"
"Accidenti..Non me la ricordo no..Come mai?..Giulia?"
"È una tua ex anche quella.."
"Merda..Non ne becco una.."
"Tanto per cambiare!"

Laura ride..
Matteo anche..
Poco alla volta la tensione si scioglie..
Poco alla volta si riavvicinano..
Senza neanche bisogno di dirselo..

"Laura?.."
"Sì?"
"Quando arriviamo a casa..me la fai una torta?"
"Cioccolato?"
"Cioccolato! Con sopra la panna montata..!"
"La panna montata?!? Non crescerai mai!!"

Laura ride..ride ancora..e in quell'attimo le sembra di non poter più smettere di farlo..

Crescerà..crescerà..Quel ragazzo ha un gran potenziale…